E adesso a tenere in pugno la Città dello Stretto è un “Nano”, Nino Lo Giudice, il pentito che tre giorni fa ha fatto perdere le sue tracce, ma prima ha lanciato la bomba avvelenata di un suo memoriale. Pagine che fanno tremare molti palazzi di giustizia e che proiettano un’ombra pesante su magistrati e poliziotti che hanno segnato una stagione della lotta alla ‘ndrangheta.

Giuseppe Pignatone, prima capo della procura a Reggio Calabria, ora procuratore capo di Roma, Michele Prestipino, il suo aggiunto, Renato Cortese, suo braccio destro investigativo, ora capo della Mobile di Roma. Sono loro, “la cricca”, dice Lo Giudice, ad avermi costretto a dire le cose che ho detto. E di storie raccontate e “tragedie” armate i verbali del “pentito” in fuga sono pieni.

Lo Giudice si autoaccusò di essere lo stratega della stagione delle bombe a Reggio Calabria. Una sotto gli uffici della Corte d’Appello il 3 maggio 2010, un’altra che devastò il portone d’ingresso del procuratore generale Salvatore di Landro, infine il bazooka che fu fatto ritrovare a pochi passi dalla sede della Direzione distrettuale antimafia. Ma soprattutto il Nano, che si vanta di essere un boss, anche se a Reggio i boss veri lo schifano come venditore di meloni, demolì la carriera di Alberto Cisterna, numero due della Direzione Antimafia ai tempi della gestione Grasso. “Mio fratello mi fece intendere che era stato favorito dal dottore Cisterna in cambio di soldi”. Dopo quelle accuse il magistrato venne indagato per corruzione in atti giudiziari, allontanato dalla Dna dal Consiglio superiore della magistratura e trasferito al Tribunale di Tivoli. “Ad occuparsi di corna”, chiosarono amabilmente in riva allo Stretto.

Per Cisterna sono anni di passione, a Reggio di scontro durissimo, sotterraneo nei corridoi della procura. L’inchiesta a carico del magistrato viene archiviata nel settembre 2012, Cisterna potrebbe accontentarsi ma non lo fa. Ricorre in Cassazione, si oppone, vuole essere processato, pretende un confronto con i suoi accusatori. Col Nano, innanzitutto. Oggi, dopo la fuga del pentito, lancia un messaggio chiaro: “Lo Giudice si consegni alla Giustizia, nelle mani del procuratore di Reggio Calabria Cafiero de Raho, il quale saprà certamente garantire che nessuna delle persone chiamate in causa metta mano alla vicenda del collaboratore di giustizia”. Nuovi, pesantissimi sospetti e una deposizione del 1 giugno, che spunta dai verbali delle indagini difensive di Cisterna. A parlare è un altro magistrato, Roberto Pennisi. Racconta di un incontro all’aeroporto di Fiumicino con Luigi Silipo, oggi capo della Mobile a Torino, ai tempi dell’inchiesta numero due dello stesso ufficio a Reggio.

Il poliziotto incrocia il magistrato, ma riceve un saluto stentato, freddo. Il caso Cisterna ha già seminato in giro troppi rancori. “Silipo non mi sembrava in buona salute – fa mettere a verbale Pennisi – lo vedevo afflitto”. Nella breve chiacchierata tra i due, il magistrato esterna le sue opinioni fortemente critiche sul modo in cui è stata condotta l’inchiesta. “Ricordo – dice ancora Pennisi – che il dottor Silipo con le lacrime agli occhi mi disse che era stato costretto a farlo. Gli risposi che avevo conosciuto uomini della polizia che avevano sacrificato la loro vita per il rispetto della legge”.

Un pentito che scappa e ritratta e che si pente di nuovo delle accuse lanciate. Un funzionario di polizia che, stando al racconto di un magistrato, dice di essere stato costretto a fare le cose che ha fatto. Un’ondata di melma sta per abbattersi su Reggio. Città dove un santo, San Michele Arcangelo, appare nei sogni del direttore di un giornale e gli rivela intercettazioni altrimenti top secret. Francesco Gangemi è l’uomo che dirige il “Dibattito”, foglio che racconta e anticipa i veleni della città. Un suo cugino omonimo fu l’avvocato di Raffaele Cutolo, e don Ciccio ha passato un sacco di guai per gli attacchi e le insinuazioni contro il gruppo di magistrati che diedero vita ad “Olimpia”, il primo maxiprocesso contro la ‘ndrangheta e i suoi legami con massoneria e politica. Gli investigatori lo ritenevano una sorta di portavoce del grumo di potere massonico-mafioso che domina sulla città, il suo giornale di messaggi e ricatti. Ma Gangemi alla fine fu assolto da ogni accusa. “San Michele mi è venuto in sogno – scrive sull’ultimo numero del Dibattito– e mi ha detto di non angustiarmi perché i nomi degli intercettati presto verranno fuori”.

Sarebbero 200 i telefoni di magistrati, giornalisti (tanti) e imprenditori, sotto controllo preventivo. In teoria i loro nomi dovrebbero essere segreti e riservatissimi, ma Gangemi fa intendere di conoscerli, ne anticipa qualcuno, tra questi spunta anche quello del magistrato che sta facendo perdere il sonno a mafiosi e politici, Giuseppe Lombardo.

Nella Reggio avvelenata la ‘ndrangheta, per il momento, sta a guardare. La politica anche. Tutti in attesa delle mosse del Nano. Qualcuno lo convincerà a fare un altro passo indietro? Sparirà per sempre? Oppure ritornerà e ritratterà tutto, di nuovo, ma nei processi? Misteri nella Reggio dove lo Stato è ancora un nemico. Il Comune è sciolto per mafia, ma il sistema di potere non ha mollato di un millimetro. Il Pdl di Peppe Scopelliti che qui è fortissimo, ha reagito attaccando la ministra Cancellieri con interrogazioni parlamentari e un libretto (“La Democrazia sospesa”) con prefazione di Angelino Alfano.

L’ex sindaco Demetrio Arena prima lo hanno candidato al Senato, poi nominato assessore alla Regione. La città sta a guardare, ferma, “dolente”, piegata sulla sua crisi, in attesa delle prossime mosse del Nano.

da Il Fatto Quotidiano del 9 giugno 2013

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