L’esame di maturità è nella memoria collettiva quanto lo sono gli archetipi di Jung. Chi non ricorda il proprio esame di maturità come uno dei momenti più significativi della sua vita? Mi rivedo davanti ad un bicchiere di latte la mattina degli esami: “non ce la farò mai”, pensavo. Ce l’ho fatta, come tutti prima o poi. Difficile convincere i ragazzi che devono affrontarlo, spesso mi capita di raccogliere le loro ansie.
Quello che è in ballo sul piano affettivo, non è tanto il grado di apprendimento, ma quanto ci si sente capaci di lanciarsi nel mondo adulto, in quel viaggio senza ritorno che può allettare, ma anche no.
Una volta superato ci si rende conto che l’esame di maturità era ben poca cosa rispetto a tutto quello che ci si trova ad affrontare dopo, perché come diceva Eduardo gli esami non finiscono mai e non si riferiva certo a quelli universitari.
Ogni volta che raggiungiamo un obiettivo ci fermiamo ad assaporarne la soddisfazione, ma è un momento che dura poco. In men che non si dica ci troviamo di fronte a nuovi obiettivi e a programmare nuovi percorsi. Ogni volta per raggiungerli dobbiamo superare i nostri limiti, altri esami, a livelli diversi di complessità.
Siamo d’accordo perciò sull’importanza di superare un esame.
E cosa significa non superarlo? Un obiettivo mancato? Un fallimento? A giudicare dalle reazioni personali si direbbe di sì, ma siamo sicuri?
Andrea è uno studente del quinto che sta ripetendo l’anno. Ha la testa bassa e un cappelletto con una visiera che gli copre gli occhi, guarda un punto lontano del pavimento. L’anno scorso all’improvviso ha perso l’interesse per lo studio, sicuramente dopo la fine di un rapporto sentimentale e ha cominciato ad andare male. E’ stato ammesso agli esami, che però non sono andati bene ed è stato bocciato.
Il colpo è stato forte. Voleva gettare la spugna e lasciare la scuola. I genitori lo convincono a riprovare, ma le cose non vanno, rischia anche quest’anno, ed è piuttosto demotivato.
La verità è che non ha ancora superato la delusione per l’esame (e quella sentimentale). Considera la bocciatura come la dimostrazione della sua incapacità e la sua autostima è a terra.
La vergogna che si porta dentro per questa decretata incapacità personale, non gli permette di guardare in faccia gli altri, di avvicinarsi ai nuovi compagni. Viene a scuola ma sente il bisogno di starsene in disparte e nascondersi sotto un cappello.
Messa così sembrava solo una gran brutta esperienza. Ma la psicologia non ce lo consente, sappiamo che anche i momenti più negativi hanno un lato positivo.
Ne parliamo e in effetti se dobbiamo considerarla in questi termini, Andrea coglie un “vantaggio”, non si sentiva pronto a uscire dal Liceo. Pensare all’università, programmare un futuro… non si vedeva proprio fuori di qui, non aveva alcuno scenario del dopo.
Non si sentiva pronto e invece si era convinto di essere incapace e stupido.
Potevamo dire che si era concesso un anno di riflessione. Mentre ne parlavamo, Andrea provava a vedere le cose in un altro modo, e sì forse aveva avuto un ruolo più attivo di quello che credeva, l’aveva più agita che subìta questa bocciatura.
Questa nuova lettura sembrava più utile ad Andrea per riprendere il suo percorso.
Quando le cose non vanno il senso di fallimento può essere enorme, ma i vantaggi possono essere più importanti per l’equilibrio personale. Obiettivi importanti possono essere sacrificati o procrastinati, per concedersi di arrivarci preparati.