Secondo la procura Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli durante uno sciopero notturno bloccarono i carrelli robotizzati che rifornivano le linee dello stabilimento. Risponderanno di violenza privata e turbata libertà dell'industria. Il Lingotto li licenziò e fu costretto a reintegrarli. Ora la causa pende in Cassazione
La Procura di Melfi ha citato in giudizio i tre operai della Fiat di Melfi, Antonio Lamorte, Marco Pignatelli e Giovanni Barozzino, nel frattempo eletto senatore nelle liste di Sel, perché, questa la tesi, si sono resi responsabili del blocco dei carrelli sulla linea di produzione. Per quella vicenda la Fiat aveva parlato di “sabotaggio” e proceduto al licenziamento dei tre operai. Due sentenze su tre del giudice del lavoro, tra cui quella di appello, avevano ripristinato le ragioni dei tre operai, dapprima reintegrati in fabbrica ma dei quali, in seguito, l’azienda ha deciso di “non avvalersi della prestazione lavorativa”.
Secondo la Procura di Melfi, dunque, il 7 luglio 2010 “in concorso e previo concerto tra loro, nel corso di una manifestazione sindacale, sostavano deliberatamente, in violazione delle norme sulla viabilità interna dello stabilimento, sulla banda magnetica per il transito dei carrelli, e così volontariamente e consapevolmente impedivano il passaggio dei carrelli robotizzati programmati per l’approvigionamento della linea di montaggio, bloccando il transito dei carrelli e della produzione con grave pregiudizio per l’attività industriale Sata”. Per queste ragioni il prossimo 5 dicembre si svolgerà la prima udienza.
Nel dispositivo della Procura che, trattandosi di reato minore, ha disposto direttamente il rinvio a giudizio, non ci sono però evidenze in contrasto con la sentenza emessa dal Tribunale di Potenza nel primo grado del giudizio civile che “con sufficiente grado di certezza” aveva stabilito che “quando gli scioperanti si sono riuniti in assemblea nei pressi del carrello, quest’ultimo era già fermo”. Il Tribunale stabiliva anche che “l’equivoco creatosi tra il 6 e 7 luglio e l’assenza di volontà diretta a creare un danno (…) sono ben evidenziati dalle dichiarazioni dei lavoratori presenti ai fatti”.
Da qui la decisione di stabilire il reintegro in azienda, bloccato però dalla Fiat con la decisione di far rientrare i lavoratori pagando loro lo stipendio ma senza farli lavorare. La Fiat, dopo il ricorso, aveva vinto il secondo grado di giudizio – nelle cause di lavoro i gradi sono quattro – ma Barozzino, Lamorte e Pignatelli hanno rivinto l’appello e sono stati ancora una volta reintegrati in fabbrica. Ancora una volta senza lavorare ma percependo lo stipendio.
Ieri, invece, in giudizio penale, un’altra sentenza a loro sfavore. E questo alla vigilia della Cassazione per la causa civile che si terrà tra qualche giorno. “Non ho ancora letto i dettagli delle richiesta di citazione – ha detto il senatore Barozzino – ma adesso spero che emerga la verità, ma proprio tutta la verità”.