“Mi ricordo che mi davi mille lire per leggere i tuoi articoli al telefono a qualcuno che li stampava, e che mi dicevi: ricordati i punti e le virgole!, e lo stenografo dall’altra parte della cornetta continuava a ridere e io pensavo che ridesse di me, mentre rideva del tuo articolo che ti stavo leggendo”.
C’è tutto Beppe Viola, inarrivabile giornalista sportivo, in questo ricordo di sua figlia. E c’è il papà: amatissimo, ingombrante e debordante, soprattutto perso troppo presto. A quest’ultimo, marito e padre imperfetto di una moglie e quattro figlie è dedicato il mémoir di Marina Viola: ‘Mio padre è stato anche Beppe Viola‘ (Feltrinelli), struggente ritratto di un uomo di una famiglia, di una città, Milano, al di fuori della quale il fenomeno Viola difficilmente sarebbe potuto esistere.
Anche chi di calcio non sapeva nulla non poteva prescindere da Beppe Viola e dal suo modo irrituale e intelligente di parlarne e scriverne. Certo erano altri tempi, che concedevano a chi aveva l’ardire di prendersele delle libertà inaudite. Tipo intervistare Gianni Rivera sul tram che da casa sua lo portava a San Siro chiedendogli se nella vita avesse mai preso a calci qualcuno (“Qualcuno no, forse qualcosa” fu la risposta del golden boy), o mandare in onda, in occasione di un derby Milan-Inter “giocato in modo inverecondo, un derbycidio” finito con un insulso 0 a 0, le immagini di un altro derby, quello mitico del febbraio 1963 (“Il primo di Mazzola che fece gol dopo 13 secondi”) “per rispetto dei 70 mila tifosi” che avevano pagato il biglietto, o definire un giovane Franco Baresi “il miglior libero d’Italia dopo Freda e Ventura”.
Quel Beppe Viola lì, le sue figlie l’hanno letto e conosciuto solo dopo la sua morte, avvenuta a 43 anni, il 17 ottobre 1982, una domenica, mentre montava la partita Inter-Napoli, 2 a 2. Un’altra figlia, Anna, lo ha anche raccontato in un bellissimo documentario, ‘Beppe Viola. Sportivo sarà lei’, per anni colpevolmente dimenticato nei magazzini della Rai.
Marina, seconda delle quattro sorelle, racconta invece l’altra faccia del giornalista, quella privata, che non è però così lontana da quella pubblica. Anche a casa Beppe, anzi Peppi come lo chiamava la moglie Franchina, era una sagoma quasi quanto sua nonna Cicchina, dalla quale aveva ereditato il sense of humor: “Quella che quando il cugino prete andava a trovarla gli diceva di togliersi la tonaca perché doveva raccontargli delle barzellette sporche”.
Suo nipote fece ben di peggio con una suora. Un giorno, su una spiaggia, le figlie ancora bambine facevano il bagno e giocavano senza costume quando Beppe sentì il commento di una suora che, rivolgendosi ai bimbi di una colonia, le additava come “il diavolo”. “Papà si voltò, andò verso la suora, le si piantò davanti e dopo essersi assicurato che lei, gli altri bagnanti e tutti i bambini avessero gli occhi puntati sulla scena, si tirò giù il costume e disse: “Sorella, se proprio vuole vederlo, eccolo, il diavolo…”.
Un papà diverso, “sui generis”, che lavorava in tv e scriveva articoli per Linus, componeva indimenticabili testi per le canzoni dell’amico d’infanzia Enzo Jannacci (Vincenzina e la fabbrica, Quelli che), scriveva dialoghi per il cinema (Romanzo popolare, di Mino Monicelli) e copioni per il cabaret di Cochi e Renato e Diego Abatantuono.
Un artista della parola che non sarebbe potuto esistere in un’altra epoca e in un altro luogo: la Milano degli anni Sessanta e Settanta che così Marina Viola descrive: “Una Milano travolta da un’energia nuova, diversa, accolta in circoli sempre più grandi; una Milano che osò proporre idee di riscatto sociale, nei piccoli cabaret prima e poi, subito dopo, al cinema, a teatro, in letteratura”.
Un irregolare che stava per principio dalla parte degli ultimi e che non aveva timore di irridere i potenti. Anzi, si divertiva da matti, come quella volta che avvicinò Luca di Montezemolo per chiedergli un’intervista. Messo il registratore sul tavolo, iniziò così: “Allora, ci dica Libera e bella” (soprannome dell’intervistato – che sfoggiava una lunga chioma – tratto dallo slogan di uno shampoo). “Cosa intende dire, scusi?” fu la replica. “Eh sì, libera dai capelli e bella nella forfora”. Montezemolo mise la mano sul registratore e disse semplicemente: “Vada via”.
Il giornalista prese un buco, l’uomo una grande soddisfazione.