Per la prima volta un dossier, realizzato da Libera, rivela la presenza, in Valle d'Aosta, di quella che già nel 1994 il magistrato Mario Vaudano chiamava "la mafia di montagna". In queste zone hanno trovato rifuggio importanti boss delle cosche calabresi
La ‘ndrangheta è arrivata anche in Valle d’Aosta. Anzi, ci vive da decenni. Ai piedi del Monte Bianco uomini legati ai clan calabresi gestiscono traffici internazionali di stupefacenti, ospitano latitanti illustri e riciclano montagne di denaro sporco lontano dai riflettori dei grandi media. Oggi, per la prima volta, un dossier rivela questa realtà pressoché sconosciuta. Il testo si intitola “L’altra Valle d’Aosta. ‘Ndrangheta, negazionismo e casi irrisolti ai piedi delle Alpi”, è stato realizzato da Libera Valle d’Aosta con la partecipazione di altre associazioni locali ed è pubblicato da Edizioni Gruppo Abele.
La Valle d’Aosta è stata rifugio sicuro per diversi ricercati per mafia sin a partire dai primi anni Novanta. Ha ospitato latitanti di rango come Carmelo Iamonte, boss di Melito di Porto Salvo, e Luigi Facchinieri, della Piana di Gioia Tauro, che qua hanno trovato riparo grazie all’aiuto di parenti e fiancheggiatori. Una tradizione che la regione ha mantenuto fino ai nostri giorni ospitando, a cavallo della strage di Duisburg, anche qualcuno della famiglia Strangio. Non è infatti un caso se le notizie circa gli omicidi della terribile faida di San Luca abbiano viaggiato anche su utenze telefoniche valdostane. La piccola regione del nord Italia è unita alla Calabria malavitosa da un legame più forte di quel che si riesce ad immaginare.
Uno dei primi ad accorgersene è stato Mario Vaudano, Procuratore di Aosta dal 1990 al 1994. Il magistrato, famoso per aver condotto alla fine degli anni ’70 la maxi inchiesta sullo scandalo petroli che fece da apripista a Tangentopoli, denunciò già nel 1994 la presenza nella regione di una “mafia di montagna”. “Già in quegli anni ebbi modo di riscontrare la presenza di persone e condotte che non potevano che fornire consistenti indizi di infiltrazione mafiosa, soprattutto di origine calabrese” scrive oggi il magistrato nell’introduzione al dossier. Per Vaudano il ripetersi nei cantieri di incidenti o danneggiamenti, il traffico di armi clandestine dalla Svizzera, la massiccia e costante presenza di pregiudicati che gravitavano attorno al Casinò di Saint Vincent e prima ancora, nel 1982, l’attentato dinamitardo contro il pretore Giovanni Selis che indagava proprio sul Casinò, costituivano indizi, allora come oggi, della presenza nella Valle di una criminalità non più di provincia”.
In Valle la ‘ndrangheta e i suoi presunti sodali sono, come sempre, insospettabili. Hanno il volto di Franco Di Donato, operaio della Cogne Acciai Speciali e allenatore della squadra giovanile di calcio del Saint-Christophe, comune limitrofo ad Aosta. Di Donato è stato condannato ad otto anni di reclusione, in primo grado, perché coinvolto in un gigantesco traffico di stupefacenti. È stato arrestato nel giugno 2009 insieme a Giuseppe e Domenico Nirta, anch’essi residenti in Valle e a loro volta condannati a 15 anni di carcere. A inchiodarli due partite di cocaina sequestrate dai Carabinieri e di cui nelle intercettazioni si parlava come di “una casa di 1.200 metri quadrati a 25 euro al metro quadrato”, ovvero 1.200 chili di cocaina a 25 mila euro al chilo.
Il quadro si complica quando gli amici degli amici hanno il volto di Giuseppe Tropiano, presidente del Comitato Festeggiamenti Santi Giorgio e Giacomo, la festa dei calabresi della Valle, la più importante ricorrenza dell’intera regione. Una kermesse di grande richiamo per la quale il comune di Aosta e la Regione stanziano ogni anno decine di migliaia di euro di fondi pubblici. Fondi che non sono mancati neppure nel 2012, quando il comitato organizzatore della Festa ha percepito i suoi quasi 40mila euro nonostante il suo presidente, Tropiano, fosse indagato per favoreggiamento nei confronti della ‘ndrangheta. Poco dopo, nel gennaio 2013, lo avrebbero condannato ad un anno di reclusione.
Tropiano, imprenditore, è stato coinvolto nell’inchiesta Tempus Venit, nata a seguito di una serie di incendi e danneggiamenti nei cantieri aostani. Alla sua conclusione, lo scorso gennaio, sette imputati sono stati condannati a pene complessive per trent’anni di carcere, con accuse che vanno dalla tentata estorsione aggravata da metodi mafiosi al favoreggiamento.
Più che un’isola felice la Valle d’Aosta si mostra come una terra complessa dove un diffuso clientelismo tende a nascondere i problemi sotto il tappeto. Dove l’evasione fiscale raggiunge cifre record e colloca la regione agli ultimi posti della classifica nazionale, vicina a quelle del sud. Per dirla con le parole della referente di Libera Valle d’Aosta Marika Demaria, “incendi, attrezzi edili combusti, negozi che chiudono per riaprire il giorno successivo o che mantengono la loro attività nonostante siano sempre deserti, evasione fiscale sono la spia di una società permeabile (quando non addirittura permeata) alle mafie, che non si manifestano più con la coppola e la lupara”. Un mondo che resta ancora in gran parte da scoprire e che neppure ad Antonio Ingroia, se davvero si trasferisse alle pendici del Monte Bianco, lascerebbe certo il tempo d’annoiarsi.