Nel consiglio regionale della Campania è la più giovane, eletta consigliera nel 2010 a soli 30 anni con oltre 16mila voti. Mafalda Amente, Pdl, un passato nell’Udc, viene da una tradizione politica affermata, suo zio è andato al ballottaggio per le ultime comunalia a Melito, comune in provincia di Napoli, dove già in passato è stato primo cittadino. Non solo lo zio, una famiglia con la politica nel sangue come la consigliera ricorda orgogliosamente sul suo sito. La giovane Amente è componente delle commissioni urbanistica, sanità e di quella speciale sulle bonifiche ambientali.
Amente non si fa mancare niente e prima dell’avventura in consiglio regionale, è stata candidata al consiglio provinciale di Napoli, dove è entrata come prima dei non eletti. Oltre al doppio incarico ora Amente deve fare i conti anche con una inchiesta che la riguarda. E’ indagata per falsità ideologica dalla Procura di Napoli che le ha notificato un avviso di conclusioni delle indagini preliminari. I guai nascono proprio durante le comunali del 2011 che videro protagonista come candidato, poi perdente, proprio suo zio. Amente, durante le amministrative a Melito, diede il suo contributo, essendo abilitata, come consigliera provinciale ad autenticare le firme di accettazione delle candidature per il rinnovo del consiglio comunale. E qui nascono i problemi.
Secondo la Procura di Napoli Amente partecipò ad un disegno criminoso attestando falsamente che le firme di ben 8 candidati consiglieri erano state apposte in sua presenza. Tutto falso secondo la pubblica accusa, “in realtà o si trattava di firme apposte in sua assenza o di firme apposte da soggetti diversi”. Tra le persone alle quali Amente autenticò firme di accettazione della candidatura c’era anche Antonio Piserchia. Piserchia risponde, invece, nel procedimento di aver violato un articolo del testo unico delle leggi per la composizione delle liste per le elezioni delle amministrazioni comunali. Pur di candidarsi a consigliere a Melito nel 2011, Piserchia dichiarò falsamente di risultare lindo e pinto, di non aver macchie giudiziarie mentre aveva riportato una condanna alla pena di 3 anni di reclusione, divenuta definitiva nel 2007, per concorso in rapina.