Cosa nostra è stata indebolita dagli arresti dei boss e non ammorbidita dai cedimenti dello Stato. E gli accordi prospettati dai pm di Palermo “hanno la consistenza di un castello di carte“. Lo afferma il generale Mario Mori nelle dichiarazioni spontanee al processo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel 1995, una vicenda legata a quella della trattativa Stato mafia. Tra il pubblico si è presentato anche l’avvocato Gianni Lapis, ex tributarista di Vito Ciancimino coinvolto in passato in una indagine su un maxi riciclaggio di denaro con il figlio di don Vito, Massimo. Lapis è stato scarcerato la settimana scorsa dopo un arresto con l’accusa di riciclaggio. Il suo legale, l’avvocato Enzo Musco, è uno dei difensori di Mori e del coimputato Mauro Obinu.
“Le potenzialità offensive di Cosa nostra, tra l’arresto di Salvatore Riina, realizzato all’inizio del 1993, e quello di Giuseppe Graviano del gennaio 1994, entrambi eseguiti da reparti dei Carabinieri, erano progressivamente e rapidamente venute meno, in corrispondenza di una sempre più efficace qualità della risposta degli apparati investigativi”, ha spiegato Mori ai giudici del tribunale di Palermo, che lo devono giudicare per favoreggiamento aggravato insieme al colonnello Mauro Obinu. “Non erano stati quindi i modesti benefici apportati dalle iniziative del Ministero della Giustizia nei confronti dei detenuti mafiosi sul 41 bis a fare recedere Cosa nostra dai suoi intenti criminali”.
Nessuna trattativa, almeno per quanto di sua conoscenza, secondo l’ufficiale allora in forza al Ros dei carabinieri. “Non sono a conoscenza di intese o accordi che possano esserci stati, per scelte di altri appartenenti alle Istituzioni, perché se ne fossi stato informato, a suo tempo ne avrei fatto denuncia, così come mi competeva. Non posso quindi sostenere con dati probanti, che in questi casi sono gli unici che valgono, se una o più trattative vi siano state oppure no”. L’unico atto politico che poteva andare incontro alle richieste di Cosa nostra, ha argomentato Mori, è stata la revoca del 41bis per 334 detenuti, firmata dal ministro della Giustizia Conso nell’autunno del 1993: “Sono dell’avviso che l’operazione, così come mi è stato dato conoscere, rientri ampiamente tra le decisioni che la classe dirigente responsabile di un paese possa assumere e di cui debba eventualmente rispondere, ma in sede politica“. Quanto alle attività del Ros, “ho dimostrato che non c’è stata alcuna iniziativa, nelle mie attività”, che mirasse ad aprire una trattativa per far cessare le stragi.
Lo “scompaginamento di Cosa nostra”, ha continuato “è avvenuto per l’impegno e la dedizione degli uomini delle Istituzioni, alcuni dei quali hanno pagato di persona questo impegno, e non già per contatti sottobanco o accordi indimostrati ed indimostrabili che, così come presentati anche in questo processo, hanno la fondatezza e l’effettiva consistenza di un castello di carte”.
Infine, Mori ha voluto precisare di non aver “mai ricevuto da Mancino (all’epoca ministro dell’Interno, ndr), nelle diverse funzioni istituzionali da lui rivestite, direttive, richieste o sollecitazioni di qualsiasi tipo, neppure in forma mediata, così pure, ovviamente, dal Capo della Polizia dell’epoca, il prefetto Vincenzo Parisi”.
Nel merito delle accuse del processo, che riguardano la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995, in base alle indicazioni del confidente Luigi Ilardo, ucciso in un agguato l’anno dopo. Il legale del generale, Enzo Musco, nella sua arringa ha definito un ‘funambolo delle falsificazioni’ Michele Riccio, il colonnello del Ros che gestì le informazioni di Ilardo ed è il principale accusatore dei due commilitoni. Riccio avrebbe dimostrato “disonestà morale e intellettuale”, ha affermato Musco. E’ sato proprio Riccio a raccontare che i vertici del Ros avrebbero fermato, nell’ottobre del 1995, un’operazione da lui organizzata per catturare Bernardo Provenzano a Mezzojuso (Palermo) dove la presenza del capomafia era stata segnalata dal confidente Ilardo.
Il difensore di Mori ha parlato di presunte incongruenze sulla mancata cattura di Provenzano: “A mio parere personale, quel giorno di ottobre Provenzano non si trovava neppure in quel casolare di Mezzojuso…”, ha affermato. Nella scorsa udienza il generale Mori aveva ricordato che Riccio è stato condannato a Genova per aver falsificato un verbale di distruzione di una partita di cocaina, “mentre la droga fu in effetti conservata per essere utilizzata in successive operazioni investigative, e per aver fornito a una sua confidente un documento falso che le servì per lasciare l’Italia e rifugiarsi in Colombia”. Secondo la difesa e lo stesso Mori Riccio si sarebbe servito “di complotti e artifizi” per accusare l’ufficiale dell’Arma.
Il legale di Obinu, basilio Milio, ha invece riservato un attacco al magistrato-politico Antonio Ingroia, che ha coordinato l’inchiesta sulla trattativa: “E’ assurdo che un magistrato scriva un libro intitolato ‘Io so’ (scritto con i giornalisti del Fatto Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, ndr) su un processo da lui stesso istruito, con uscite pubbliche ed esternazioni nel merito”.