Mi sono rituffato nella nicchia e l’emozione è stata grande.
Quale nicchia?
Quella del vinile, delle valvole, delle puntine, dell’analogico.
Fiera del disco a Torino. Arrivo allungando il passo e dopo un attimo mi ritrovo nel vortice ansiogeno del consumatore addicted. Quello, per intenderci, che entrava una volta nei negozi di dischi che non conosceva e “sfogliava” i vinili per capire se era un posto di rispetto o avevano solo la “solita roba commerciale”.
Balle. Non c’è conflitto, solo possibilità di scelta.
Il vinile ti fa entrare in un immaginario sonoro (e visuale) che implica SEMPRE una scelta: le compagnie telefoniche per esempio ti regalano giga di musica da ascoltare sul tuo nuovo smartphone. La musica non la scegli, te la danno loro pescando dai cataloghi digitali recuperati a costo quasi zero dalle case discografiche in liquidazione. Avvilente. Il mercato 2.0 ci ha convinti che è giusto spendere centinaia di euro per il contenitore (tablet, smartphone, lettore di mp3) ma non per il contenuto: la musica che ci metti dentro deve essere gratuita, come se pensarla, registrarla e produrla non avesse il benché minimo valore. Così ti ritrovi una giungla di cartelle di mp3 e finisci per non sapere nulla di chi, come e perché sia stata fatta quella musica. Ti limiti, quando va bene, a sapere “che numero è” la canzone che ti piace.
Tornando alla fiera dell’usato: ho trovato molti “pezzi” italiani interessanti, come i primi 45 giri di Celentano, la Callas alla Scala in una registrazione del ’57 e un 16 giri del mitico Fred Buscaglione.
Musicisti, lavoriamo per i collezionisti del futuro!
QUE VIVA LA MUSICA.