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Crisi del debito sovrano: il tax-backed bond per risolverla

Ce lo siamo sentiti dire fino alla nausea: le cause della crisi vanno ricercate nelle grandi dimensioni dei debiti pubblici, l’alto debito pubblico impedisce la crescita, bisogna abbattere il debito pubblico e tenere i conti in pareggio perché lo Stato è come: “una buona famiglia e le buone famiglie non contraggono debito e fanno quadrare sempre i conti”.

Si può constatare che non è così. Innanzitutto lo Stato non si può identificare con una “buona famiglia” per ovvie ragioni, il debito per uno Stato è indispensabile ed il problema non è tanto il suo ammontare (il Giappone detiene un debito pari al 236% del proprio Pil), ma il suo reale creditore, che ne determina i tassi di interesse. Il problema non è il debito pubblico, ma quella sua parte che viene definita “debito estero” come afferma il prof. Bagnai. Per questo alcuni  Paesi dell’Eurozona (Spagna, Grecia, Italia, tutti con debito estero elevati) sono  stati oggetto di attacchi speculativi, i quali fanno schizzare i tassi di interesse alle stelle per aumentare i rendimenti sul debito, basti pensare al caso italiano poco prima della fine del governo Berlusconi, in cui lo spread Btp- Bund  superò i 550 punti.

Quindi in questi casi, e solo in questi, vi è il rischio che il debito sovrano non sia ripagato e che il Paese debitore dichiari default. Philip Pilkington e Warren Mosler (conosciuto ai più come il promotore della Modern Money Theory) hanno avanzato a tal proposito un’innovativa proposta finanziaria denominata: tax-backed bond, che potrebbe risolvere la crisi dei debiti sovrani.

La proposta è spiegata così: “se (e solo se) un Paese dell’Eurozona va in default, cioè non riesce più a pagare il proprio debito, il creditore può utilizzare i titoli del debito per pagare le imposte in quel suddetto Paese”. Facciamo un esempio pratico per capire meglio.

Se un investitore italiano detiene Btp del valore di mille euro e l’Italia non riesce a ripagare i titoli, l’investitore può utilizzare i Btp per effettuare pagamenti fiscali al governo italiano per un ammontare di mille euro.

Se il titolo è detenuto da un investitore straniero, il possessore del titolo potrà venderlo ad un istituto di credito che paga le tasse in quel paese, ad un prezzo vantaggioso.

Riprendiamo l’esempio precedente e modifichiamolo per spiegare meglio questa variante. Supponiamo  che i mille euro di Btp siano di proprietà di un investitore tedesco e l’Italia dichiari default. L’investitore non riuscirà a riavere i mille euro, gli converrà vendere i titoli con un piccolo sconto (ad esempio 10 euro) affinché siano più appetibili, ad un istituto di credito italiano che a sua volta utilizzerà per pagare il fisco, guadagnando per l’appunto dieci euro. In definitiva i bond di un Paese diverrebbero una moneta per pagare le tasse. Pilkington e Mosler ci tengono a sottolineare che paesi come il Giappone, non si trovano ad affrontare problemi di questo tipo, poiché emettendo moneta, questi possono sempre effettuare i pagamenti dei titoli a scadenza. Non è cosi per i membri dell’Eurozona, per i quali il tax-backed bond è fatto su misura.

L’intenzione dei due economisti infatti è assicurare la fiducia degli investitori sui titoli del tesoro, in particolare  rassicurare i mercati ed evitare attività speculative che danneggiano i Piigs.

Una proposta semplice quella di Pilkington e Mosler, la quale non richiede particolari riforme, e che potrebbe dare ossigeno alle economie dei Paesi periferici.