Cosa succederà ora a Edward Snowden, il responsabile di una tra le più massicce fughe di notizie della storia americana? Dagli Stati Uniti, subito dopo la rivelazione della sua identità, si sono levate voci autorevoli per chiederne l’estradizione. “Va estradato e perseguito nel modo più esemplare”, ha detto il deputato repubblicano Peter King. La National Intelligence ha demandato il caso al Dipartimento di Giustistizia e il suo direttore, James Clapper, ha esplicitamente affermato che quanto fatto da Snowden è “un crimine” e come tale va trattato. Mentre l’amministrazione Obama si mantiene prudentemente in silenzio, una petizione postata sulla pagina “We the People” della Casa Bianca ha in poche ore raggiunto le migliaia di adesioni.
Al momento non si sa esattamente dove Snowden si trovi. Il giovane ha lasciato l’albergo di Hong Kong dove si trovava al momento dell’intervista al Guardian, ma dovrebbe trovarsi ancora in città. Secondo alcune fonti non confermate, il giovane ex-tecnico della Cia potrebbe aver cambiato diversi hotel per far perdere le sue tracce. Una voce autorevole, Peter Bouckaert di Human Rights Watch, ha affermato che Snowden “nen deve sentirsi al sicuro a Hong Kong”, e che la fama della città come luogo di tutela del dissenso “è sempre più venuta meno” negli ultimi anni. Bouckaert cita, a sostegno delle sue affermazioni, quanto successo a un dissidente libico, Sami al-Saadi, che nel 2004 venne consegnato alle autorità libiche da Hong Kong con l’appoggio della Cia e dei servizi di intelligence inglesi. Al-Saadi venne in seguito torturato e condannato a morte. Un’altra voce che ha suggerito a Snowden di andarsene è quella di Regina Ip, segretaria del “Nuovo Partito del Popolo” filo-cinese, che ha spiegato che Hong Kong non è “un porto sicuro” per il giovane, e che la città sarà sicuramente costretta a rispettare il trattato firmato con gli Stati Uniti nel 1997.
La sorte di Snowden sembra infatti legata proprio a quel documento che regola le procedure di estradizione tra i due Paesi. Nel caso Washington chiedesse il ritorno in patria della “talpa”, sarebbe praticamente impossibile per l’ex-colonia britannica dire di no. Con una possibile eccezione. Che l’estradizione metta a rischio “la difesa, gli affari esteri, l’interesse generale o la politica pubblica della Cina”, da cui in ultima istanza dipende Hong Kong, una Regione Amministrativa Speciale con un alto grado di autonomia. La clausola riguarda però i cittadini di nazionalità cinese, e potrebbe essere applicata con una certa difficoltà a Snowden. Un’altra possibilità per resistere al ritorno degli Stati Uniti sta nella possibilità di appellarsi a un reato di natura politica, ciò che permetterebbe al giovane americano di chiedere l’asilo a Hong Kong. Ma anche questa eventualità appare lontana e poco praticabile.
Molto meglio dunque, per Snowden, lasciare l’isola, dove la sua sorte appare troppo legata all’andamento mutevole delle relazioni tra Pechino e Washington. Il problema, però, è dove andare. Nelle ultime ore un consiglio autorevole è venuto da Julian Assange, che in una dichiarazione pubblica ha detto che l’approdo più sicuro è a questo punto l’America Latina. “L’America Latina ha dimostrato negli ultimi dieci anni un reale impegno sul fronte dei diritti umani e c’è una lunga tradizione di asilo politico”, ha detto Assange in un’intervista a Cnn dal suo rifugio londinese, all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador. Un’offerta che potrebbe rivelarsi interessante, per Snowden, è venuta anche dalla Russia. Un portavoce del presidente Vladimir Putin ha detto che il suo Paese “è pronto a esaminare la richiesta di asilo, nel caso perverrà”. L’apertura di Putin, più che a un reale impegno a favore del libero pensiero, sembra motivata dalle tensioni anti-occidentali che pervadono il governo russo, e potrebbe comunque rivelarsi una scommessa pericolosa.
Alla fine, con ogni probabilità, il luogo che rimane in cima alla lista di Snowden rimane proprio l’Islanda, come del resto la stessa “talpa” ha raccontato nella sua intervista al Guardian. Ma anche qui potrebbero sorgere problemi difficilmente risolvibili. L’Islanda – che ha un’antica tradizione di accoglienza al dissenso, da Bobby Fischer a Wikileaks – è da qualche settimana retta da un governo conservatore, particolarmente desideroso di stabilire buone relazioni con il governo Usa. Un portavoce dell’Ufficio Immigrazione di Reykjavik, interpellato sulla possibilità di concedere asilo politico a Snowden, ha risposto che questi dovrà prima entrare nel Paese e poi fare richiesta – escludendo, in questo modo, che il giovane americano possa entrare in un’ambasciata o consolato islandese all’estero e chiedere asilo. Un’affermazione che ha fatto nascere altri dubbi e preoccupazioni sulla sorte del whistleblower americano.