In primo grado la pena era stata di 10 anni. Il faccendiere davanti ai giudici aveva respinto le accuse: "Don Verzè e Cal non avevano bisogno di essere rappresentati da me in Regione Lombardia"
Pierangelo Daccò è stato condannato dalla corte d’appello di Milano a 9 anni. Il faccendiere era imputato per associazione a delinquere e bancarotta. In primo grado, con il rito abbreviato che prevede uno sconto di un terzo della pena, il faccendiere era stato condannato a 10 anni. Il sostituto procuratore generale Piero De Petris aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado con però la rideterminazione della pena a causa dell’esclusione dell’aggravante della transnazionalità. Daccò aveva reso dichiarazioni spontanee davanti ai giudici della seconda sezione della corte d’appello, sostenendo di non aver mai pagato “una tangente” alla regione Lombardia e a Roberto Formigoni, e di non aver mai rappresentato il San Raffaele né il suo fondatore don Verzè e il suo allora braccio destro Mario Cal.
Daccò, ricordando di essere stato accusato di aver pagato tangenti al Pirellone e in particolare a Formigoni (nell’inchiesta è indagato anche l’ex governatore del Pirellone per corruzione, ndr). L’imputato ha anche spiegato che il suo rapporto con Cal, l’ex vicepresidente del San Raffaele morto suicida due estati fa, “non è nato per pagare tangenti alla regione Lombardia” e all’ex governatore, ma “per un rapporto di amicizia e di business importanti”.
Il faccendiere, che in aula è stato ripreso più volte dal presidente della corte Flavio Lapertosa che lo ha invitato a non divagare, ha raccontato dei suoi “business” e ha aggiunto: “Io il San Raffaele non l’ho mai rappresentato in Regione Lombardia. Per me era impossibile perché per oltre 15 anni rappresentavo un altro gestore molto importante e non si poteva rappresentarne due. E poi – ha continuato – don Verzè e Cal non avevano bisogno di essere rappresentati da Piero Daccò in Regione Lombardia: don Verzè aveva un rapporto che durava da 30 anni ed era buon amico dei politici, era risaputo”.
Inoltre l’imputato, che è in carcere da un anno e sette mesi, ha affermato di non riuscire a capire “come mi si possa imputare” una distrazione di 35 milioni dalle casse del San Raffaele per la vicenda dell’aereo. “Non posso aver distratto nulla perché all’ente ho solo ceduto un contratto di prenotazione del velivolo”.
Questa mattina la difesa aveva cheisto il rinvio del processo in attesa delle motivazioni della sentenza con cui il tribunale ha condannato per la stessa vicenda l’imprenditore Pierino Zammarchi a cinque anni di carcere e ha assolto perché il fatto non sussiste il figlio Gianluca e altri due imprenditori. Pierangelo Dacco’ ”è statol’unico a pagare. E’ stato condannato come se fosse Don Verzè il gestore o l’amministratore della fondazione San Raffaele” ha protestato l’avvocato Giampiero Biancolella, ritenendo che la pena inflitta abbia “dell’ incredibile”. Il difensore ha affermato che “non si capisce come sia possibile che chi risponde per una distrazione di una cifra irrisoria, 35 milioni, rispetto a un default di un miliardo e mezzo, sia condannato a una pena del genere. Sono briciole rispetto al dissesto del San Raffaele”. Il difensore più volte ha ribadito che Daccò è stato condannato a una pena che “ha dell’incredibile” come se fosse stato “il gestore e l’ amministratore della fondazione”. Il legale ha aggiunto che il suo assistito “dipinto come un mostro” non è responsabile dei reati che gli vengono contestati e che il processo si è “sgonfiato”, dopo la recente assoluzione in tribunale di alcuni coimputati di Daccò come Gianluca Zammarchi e Fernando Lora.