Se n’erano accorti in molti che qualcosa non funzionava al Ministero delle politiche agricole, molto prima che la magistratura arrestasse la “cricca”, fra i quali il “centurione”, Giuseppe Ambrosio. Un fiume di denaro usciva dalle casse pubbliche e nessuno sapeva dove finisse: nessuno ha controllato, o ha voluto controllare. Cinquecento ispettori avevano, però, chiesto di passare dall’Icq, l’antifrode alimentare del ministero dell’agricoltura, al Corpo Forestale dello Stato. Non era solo una questione di stipendio e stato giuridico, anzi: denunciavano difficoltà nel fare i controlli nel settore alimentare. Su quei prodotti che finiscono ogni giorno sulla tavola degli italiani.
Era il 2008, quando 500 dipendenti dell’antifrode, praticamente tutti, scrivevano all’allora ministro Luca Zaia, oggi governatore leghista del Veneto. “Signor Ministro, abbiamo deciso di scriverle questa lettera aperta con la duplice finalità di rappresentare alcuni gravi motivi di scontento nei confronti dell’Amministrazione dalla quale dipendiamo, e nel contempo di esortarla a sostenere e rendere concreta l’ipotesi di accorpamento dell’Icq nel Corpo Forestale dello Stato, come nucleo specializzato nella prevenzione e repressione delle frodi agroalimentari”. Non ricevettero nemmeno una mezza riposta. Se Zaia era il ministro, il suo capo di gabinetto era Giuseppe Ambrosio, arrestato mesi fa con gravi accuse: fra i reati elencati a suo carico, aver lucrato sulle campagne di informazioni e sulla sensibilizzazione alimentare nelle scuole in cambio di favori. La Procura di Roma sospetta un vasto giro di corruzione per ottenere illecitamente contributi statali per 32 milioni di euro. Nell’ambito dell’operazione denominata “Centuriore”, dal soprannome di Ambrosio, i magistrati hanno indagato 37 persone, di cui 13 dirigenti e funzionari pubblici, quasi tutti del ministero dell’agricoltura. E a finire sotto inchiesta anche Giuseppe Nicola Serino, fino ad allora capo dell’Icq, cioè il responsabile dei 500 dipendenti dell’antifrode che chiedevano di essere trasferiti alla Forestale. Ricevevano, secondo le accuse della procura, tangenti, regali e favori dagli imprenditori che volevano aggiudicarsi gli appalti. I “piaceri” erano chiamati “bufale o mozzarelle”, per stare sempre in tema.
Ambrosio dovrà pure rispondere della concessione di contributi pubblici ai comuni di Maratea e di Todi in cambio di presunte omissioni nei controlli edilizi su alcune opere realizzate, pare abusivamente, nelle ville di sua proprietà.
I fatti avvenuti sarebbero avvenuti, secondo la Procura della Repubblica di Roma, negli anni tra il 2007 e il 2011. E’ la lettera dei 500 è di quel periodo, del 2008, proprio negli anni in cui, secondo i giudici, si sarebbero commessi i reati. I cinquecento dipendenti del ministero scrivevano di non poter operare in modo proficuo per garantire la sicurezza alimentare degli italiani, “in termini di efficacia e di efficienza dei controlli”. E proseguivano: “Ognuno di noi si trova quotidianamente, nei differenti ruoli ispettivi, chimici ed amministrativi, ad esperire attività esterna di polizia amministrativa e giudiziaria (vale a dire sequestri, perquisizioni, interrogatori ed altro ancora), ad effettuare attività analitica (all’esito della quale viene spesso avviato un procedimento penale od amministrativo), a redigere gli atti e seguire lo sviluppo dei procedimenti”. Ma se la situazione rimanesse così, scrivono, “per correttezza e onestà avremo sicuramente difficoltà a proseguire le collaborazioni investigative ed operative con le forze di polizia”. La lettera si concludeva con la richiesta di un incontro con Zaia “per esporre, in modo più compiuto, i motivi del nostro malessere”. Quella lettera finì in un cassetto del ministero. Non solo. Uno dei più attivi investigatori del Corpo Forestale, il colonnello Isidoro Furlan, non venne mai promosso generale, pur avendone titoli e meriti, pare per esplicita contrarietà di qualcuno al ministero dell’agricoltura. Troppo attivo, dissero allora.
Intanto, però, la moglie di Ambrosio, Stefania Ricciardi era diventata dirigente al Ministero con uno stipendio attorno ai 100 mila euro annui e con una laurea alla Link Campus University of Malta. Titolo allora non riconosciuto in Italia. Il concorso, sospettano i magistrati della procura, sarebbe stato irregolare. Non solo: al ministero era stata promosso dirigente anche la segretaria di Ambrosio, Simona Di Giuseppe, pure lei laureata allo stesso ateneo di Malta. Sul carrozzone del ministero sarebbero finiti anche Monica Ricciardi, nipote della moglie di Ambrosio, la figlia Benedetta e il suo fidanzato Ludovico Bruno.
Dopo Luca Zaia, il nuovo ministro Giancarlo Galan voleva promuovere Ambrosio, dirigente da 22 anni, a capo del Corpo Forestale dello Stato, benché fosse stato rinviato a giudizio già in due occasioni.
In questo clima come potevano operare i cinquecento ispettori dell’antifrode e i vari ufficiali del Corpo Forestale dello Stato, la nostra quarta forza dell’ordine, come il colonnello Furlan?
Intanto è iniziato il processo contro Ambrosio e la cricca del ministero, mentre la moglie del “centurione”, Stefania Ricciardi, è stata licenziata in tronco.
Paolo Tessadri
Giornalista
Giustizia & Impunità - 12 Giugno 2013
Ambrosio: ‘bufale e mozzarelle’ e l’antifrode alimentare
Se n’erano accorti in molti che qualcosa non funzionava al Ministero delle politiche agricole, molto prima che la magistratura arrestasse la “cricca”, fra i quali il “centurione”, Giuseppe Ambrosio. Un fiume di denaro usciva dalle casse pubbliche e nessuno sapeva dove finisse: nessuno ha controllato, o ha voluto controllare. Cinquecento ispettori avevano, però, chiesto di passare dall’Icq, l’antifrode alimentare del ministero dell’agricoltura, al Corpo Forestale dello Stato. Non era solo una questione di stipendio e stato giuridico, anzi: denunciavano difficoltà nel fare i controlli nel settore alimentare. Su quei prodotti che finiscono ogni giorno sulla tavola degli italiani.
Era il 2008, quando 500 dipendenti dell’antifrode, praticamente tutti, scrivevano all’allora ministro Luca Zaia, oggi governatore leghista del Veneto. “Signor Ministro, abbiamo deciso di scriverle questa lettera aperta con la duplice finalità di rappresentare alcuni gravi motivi di scontento nei confronti dell’Amministrazione dalla quale dipendiamo, e nel contempo di esortarla a sostenere e rendere concreta l’ipotesi di accorpamento dell’Icq nel Corpo Forestale dello Stato, come nucleo specializzato nella prevenzione e repressione delle frodi agroalimentari”. Non ricevettero nemmeno una mezza riposta. Se Zaia era il ministro, il suo capo di gabinetto era Giuseppe Ambrosio, arrestato mesi fa con gravi accuse: fra i reati elencati a suo carico, aver lucrato sulle campagne di informazioni e sulla sensibilizzazione alimentare nelle scuole in cambio di favori. La Procura di Roma sospetta un vasto giro di corruzione per ottenere illecitamente contributi statali per 32 milioni di euro. Nell’ambito dell’operazione denominata “Centuriore”, dal soprannome di Ambrosio, i magistrati hanno indagato 37 persone, di cui 13 dirigenti e funzionari pubblici, quasi tutti del ministero dell’agricoltura. E a finire sotto inchiesta anche Giuseppe Nicola Serino, fino ad allora capo dell’Icq, cioè il responsabile dei 500 dipendenti dell’antifrode che chiedevano di essere trasferiti alla Forestale. Ricevevano, secondo le accuse della procura, tangenti, regali e favori dagli imprenditori che volevano aggiudicarsi gli appalti. I “piaceri” erano chiamati “bufale o mozzarelle”, per stare sempre in tema.
Ambrosio dovrà pure rispondere della concessione di contributi pubblici ai comuni di Maratea e di Todi in cambio di presunte omissioni nei controlli edilizi su alcune opere realizzate, pare abusivamente, nelle ville di sua proprietà.
I fatti avvenuti sarebbero avvenuti, secondo la Procura della Repubblica di Roma, negli anni tra il 2007 e il 2011. E’ la lettera dei 500 è di quel periodo, del 2008, proprio negli anni in cui, secondo i giudici, si sarebbero commessi i reati. I cinquecento dipendenti del ministero scrivevano di non poter operare in modo proficuo per garantire la sicurezza alimentare degli italiani, “in termini di efficacia e di efficienza dei controlli”. E proseguivano: “Ognuno di noi si trova quotidianamente, nei differenti ruoli ispettivi, chimici ed amministrativi, ad esperire attività esterna di polizia amministrativa e giudiziaria (vale a dire sequestri, perquisizioni, interrogatori ed altro ancora), ad effettuare attività analitica (all’esito della quale viene spesso avviato un procedimento penale od amministrativo), a redigere gli atti e seguire lo sviluppo dei procedimenti”. Ma se la situazione rimanesse così, scrivono, “per correttezza e onestà avremo sicuramente difficoltà a proseguire le collaborazioni investigative ed operative con le forze di polizia”. La lettera si concludeva con la richiesta di un incontro con Zaia “per esporre, in modo più compiuto, i motivi del nostro malessere”. Quella lettera finì in un cassetto del ministero. Non solo. Uno dei più attivi investigatori del Corpo Forestale, il colonnello Isidoro Furlan, non venne mai promosso generale, pur avendone titoli e meriti, pare per esplicita contrarietà di qualcuno al ministero dell’agricoltura. Troppo attivo, dissero allora.
Intanto, però, la moglie di Ambrosio, Stefania Ricciardi era diventata dirigente al Ministero con uno stipendio attorno ai 100 mila euro annui e con una laurea alla Link Campus University of Malta. Titolo allora non riconosciuto in Italia. Il concorso, sospettano i magistrati della procura, sarebbe stato irregolare. Non solo: al ministero era stata promosso dirigente anche la segretaria di Ambrosio, Simona Di Giuseppe, pure lei laureata allo stesso ateneo di Malta. Sul carrozzone del ministero sarebbero finiti anche Monica Ricciardi, nipote della moglie di Ambrosio, la figlia Benedetta e il suo fidanzato Ludovico Bruno.
Dopo Luca Zaia, il nuovo ministro Giancarlo Galan voleva promuovere Ambrosio, dirigente da 22 anni, a capo del Corpo Forestale dello Stato, benché fosse stato rinviato a giudizio già in due occasioni.
In questo clima come potevano operare i cinquecento ispettori dell’antifrode e i vari ufficiali del Corpo Forestale dello Stato, la nostra quarta forza dell’ordine, come il colonnello Furlan?
Intanto è iniziato il processo contro Ambrosio e la cricca del ministero, mentre la moglie del “centurione”, Stefania Ricciardi, è stata licenziata in tronco.
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Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "È quello che abbiamo chiesto. Ma capire è una parola inutile. Io non capisco niente e chi ci capisce è bravo. Si chiede, si fa e si combatte per ottenere rispetto. Capire no, mi spiace. Magari, capire qualcosa mi piacerebbe". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono se la giornalista potrà avere altre visite da parte dell'ambasciata.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - Nella telefonata di ieri "avrei preferito notizie più rassicuranti da parte sua e invece le domande che ho fatto... glielo ho chiesto io, non me lo stava dicendo, le ho chiesto se ha un cuscino pulito su cui appoggiare la testa e mi ha detto 'mamma, non ho un cuscino, né un materasso'". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "No, dopo ieri nessun'altra telefonata". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, ai cronisti dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni. "Le telefonate non sono frequenti. E' stata la seconda dopo la prima in cui mi ha detto che era stata arrestata, poi c'è stato l'incontro con l'ambasciatrice, ieri è stato proprio un regalo inaspettato. Arrivano così inaspettate" le telefonate "quando vogliono loro. Quindi io sono lì solo ad aspettare".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Questo incontro mi ha fatto bene, mi ha aiutato, avevo bisogno di guardarsi negli occhi, anche tra mamme, su cose di questo genere...". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, lasciando palazzo Chigi dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Cerca di essere un soldato Cecilia, cerco di esserlo io. Però le condizioni carcerarie per una ragazza di 29 anni, che non ha compiuto nulla, devono essere quelle che non la possano segnare per tutta la vita". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
"Poi se pensiamo a giorni o altro... io rispetto i tempi che mi diranno, ma le condizioni devono essere quelle di non segnare una ragazza che è solo un'eccellenza italiana, non lo sono solo il vino e i cotechini". Le hanno detto qualcosa sui tempi? "Qualche cosa - ha risposto -, ma cose molto generiche, su cui adesso certo attendo notizie più precise".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "La prima cosa sono condizioni più dignitose di vita carceraria e poi decisioni importanti e di forza del nostro Paese per ragionare sul rientro in Italia, di cui io non piango, non frigno e non chiedo tempi, perché sono realtà molto particolari". Lo ha detto Elisabetta Vernoni, mamma di Cecilia Sala, dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Adesso, assolutamente, le condizioni carcerarie di mia figlia". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono quali siano le sua maggiori preoccupazioni. "Lì non esistono le celle singole, esistono le celle di detenzione per i detenuti comuni e poi le celle di punizione, diciamo, e lei è in una di queste evidentemente: se uno dorme per terra, fa pensare che sia così...".