Lo ammazzarono davanti casa la sera del 10 maggio 1996, a Catania, in via Quintino Sella. Pochi colpi di pistola sparati alle spalle tapparono per sempre la bocca di Luigi Ilardo, boss mafioso di spicco della famiglia di Caltanissetta. Faide tutte interne a Cosa nostra si disse. E invece no. Perché Ilardo non era un mafioso tout court. Era un confidente, e pochi mesi prima, il 31 ottobre del 1995, aveva portato il suo “gancio”, il colonnello del Ros Michele Riccio, fino alla porta di Bernardo Provenzano, nascosto in un casolare nelle campagne di Mezzojuso, vicino Palermo. Quella mattina il blitz per arrestare il boss corleonese saltò, ma Ilardo per Binnu il ragioniere era diventato pericolosissimo. È per questo che pochi mesi dopo Gino Ilardo viene assassinato davanti il portone di casa. Un omicidio per 17 anni rimasto senza assassini e mandanti, che stamattina hanno però ritrovato un nome. La procura di Catania ha infatti notificato un’ordinanza di custodia cautelare a Maurizio Zuccaro e Orazio Benedetto Cocimano: entrambi già detenuti sono considerati i killer di Ilardo. Ad impartire loro l’ordine di morte sarebbe stato Giuseppe “Piddu” Madonia, potentissimo boss di Caltanissetta e cugino dello stesso Ilardo: anche a lui è stato notificata un’ordinanza di custodia cautelare nella sua cella del carcere di Parma dove è detenuto in regime di 41 bis.
La vicenda di Ilardo è uno dei punti cardine del processo che a Palermo vede imputati gli ex alti ufficiali del Ros Mario Mori e Mauro Obinu. I due militari sono accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra per aver volontariamente fatto saltare il blitz di Mezzojuso. Il loro più grande accusatore, dopo l’assassinio di Ilardo, è il colonnello Michele Riccio che ha raccontato di come Mori e Obinu avrebbero volontariamente fatto saltare l’arresto di Provenzano. “Noi – ha spiegato Obinu al pm Nino Di Matteo – abbiamo localizzato il casale ma consideri la difficoltà tecnica di entrare, in quel posto, in quanto era costantemente occupato da pastori, mucche e pecore”.
Già nei due anni precedenti al mancato blitz di Provenzano, Ilardo era diventato un confidente stabile di Riccio. Lo informava sugli sviluppi interni alla famiglia di Caltanissetta, sulla nuova geografia criminale di Cosa Nostra, e soprattutto sul nuovo corso inaugurato da Provenzano dopo la stagione delle stragi: pax mafiosa, divieto di utilizzare la violenza se non in casi eccezionali, e affari, tanti affari. Ed è proprio a Provenzano che punta Riccio. Il boss corlenese era stato addirittura dato per morto, ma dopo l’arresto di Riina e dei principali leader dell’ala stragista di Cosa Nostra, diventa Provenzano il capo dei capi della piovra, l’uomo che, per la procura di Palermo, avrebbe sottoscritto il patto sotterraneo con alcuni pezzi dello Stato. Ed è per questo che quel blitz a Mezzojuso non si farà, mai nonostante le precise indicazioni di Ilardo. Il confidente nei mesi successivi si adopera per ottenere un secondo incontro con Provenzano, ma è troppo tardi, è già stato bruciato. “Mi chiamo Luigi Ilardo. Ho deciso formalmente di collaborare con la giustizia nella speranza che il mio esempio possa essere di monito e d’aiuto a ragazzi, che come me, si sentono di raggiungere l’apice della loro vita entrando in determinate organizzazioni” recita il confidente alla vigilia del formale passaggio nei ranghi dei collaboratori di giustizia. Non avrà però mai il tempo di fare il grande salto.
@pipitone87