Senatore Giovanardi,
la ringrazio per la risposta: il dibattito, gradevole o sgradevole che sia, è la tessitura fondamentale del vivere civile. So bene – come credo lo si sappia tutti – che molti ruoli lei ha avuto nelle strutture di governo da parecchi anni a questa parte. E le confesso che in alcuni casi mi è accaduto di faticare un poco a comprendere i criteri di competenza in base ai quali le deleghe – non solo le sue, certo – vengono attribuite. E mentre molto si sa della competenza e della dedizione, ad esempio, dell’inimitabile Don Gallo a una specifica causa, meno si conosce sul suo impegno civile e politico per l’assistenza, la cura e la lotta contro le tossicodipendenze. Sono contenta che lei frequenti in tutta Italia comunità di recupero e dunque ancora di più mi stupisce la certezza adamantina con la quale ha espresso la sua diagnosi sulle ragioni delle condizioni di Stefano Cucchi, che apparivano a molti difficili da ricostruire.
Non spetta a me entrare nel merito della verità che lei ritiene di possedere su questa vicenda. Resta comunque sospesa una questione etica rilevante. Lei, senatore, ha un ruolo politico, e da molto tempo. Questo ruolo implica la necessità di misurare ogni parola (e ogni gesto), perché questa parola (e questo gesto) si spendono nel pubblico, e “pesano”. In questo caso, meglio sarebbe stato, mi creda, osservare il silenzio. O al massimo mostrare una sapientia cordis elementare, la comprensione umana di un lutto che, quello davvero, non è più sanabile. Per come la vedo io, questa non è una guerra a poliziotti contro tossicodipendenti. E io non ragiono per categorie: gli eroi e i cialtroni sono ovunque. La vicenda di Stefano Cucchi è stata ed è complessa e spinosa, e in essa il ruolo istituzionale delle parti non ha rilevanza, perché appunto i cittadini dovrebbero essere tutti uguali davanti alla legge.
E qui veniamo all’altra questione che lei solleva: “basterebbe il dubbio”. Sgombriamo il campo da malintesi e facciamo che abbiamo ben chiaro, sia lei che io, che Giovanni Falcone intendeva e contestualizzava le sue parole – per me indiscutibili – in una realtà completamente diversa. Fatto questo, le spiego in termini persino banali quel che intendo: si entra nelle forze dell’ordine con un ruolo molto preciso, si indossa una divisa insieme alla credibilità che essa comporta, e si deve essere autorevoli invece che autoritari. Si deve esserlo perché quella divisa ha un senso istituzionale, al quale peraltro moltissime, assolutamente moltissime persone per bene – gli eroi di cui sopra – rendono onore. Per questo, sono d’accordo con lei che 1200 euro al mese sono pochi, pochissimi (come moltissimi, troppi sono quelli che guadagnano i parlamentari, ma questa è un’altra storia).
Ora nel momento in cui viene sollevato un dubbio così grave, l’autorevolezza necessaria a rappresentare lo stato nell’esercizio delle sue funzioni viene a mancare. La sentenza di assoluzione ha dato una prima risposta, che a lei è parsa confortante e rispetto alla quale la famiglia ha già anticipato l’appello. La storia non è conclusa,dunque. Perciò, fossi stata in lei, come politico mi sarei astenuto dal commentarla. Le persone sono autorevoli per quello che sono, non perché qualche politico le difende. E, insomma, di chiunque fossero quei diti medi sollevati in aula, lei sarà d’accordo con me sul fatto che non sono sembrati molto autorevoli. E’ semplice e cristallino, ed è lo stesso percorso per cui io credo che un uomo politico sotto processo dovrebbe spontaneamente rinunciare al suo ruolo politico, colpevole o innocente che sia, e affrontare il giudizio da privato.
Infine, senatore, caso mai non fosse chiaro in quello che ho scritto: non discuto le competenze di periti dei quali non ho letto i referti e che di default suppongo autorizzati. Dico solo che, a mio parere, lei avrebbe dovuto astenersi. Non è un giudice, non è un perito, non è un amico di famiglia, e non le è stato chiesto un parere come singolo cittadino. Lei è un senatore dello stato, e di questa carica si è assunto il peso e la responsabilità. Dunque lei si trova in una posizione radicalmente diversa dalla mia, che sono una privata cittadina, una di quelli che la guardano, la valutano, riflettono sulle sue azioni, la ascoltano parlare alla radio, alla televisione o sui giornali. A volte, pensi, usano un blog per esprimere delle opinioni. E alla luce di quello che hanno capito, poi, finché si può farlo, vanno a votare.
Dunque non conto nulla, ma conto moltissimo.