Ognuno ha il suo tesoro. I Paesi arabi hanno il petrolio, l’Italia il sole e il vento. I primi sono campioni nello sfruttarlo, noi molto meno. Eppure il petrolio inquina il mondo, sole e vento sono parte del mondo. Il 15 giugno è la Giornata Mondiale del vento: un’occasione per riflettere sull’agente atmosferico più romantico ma anche potenzialmente più redditizio per il nostro Paese. Quanto l’Italia ha diversificato le sue fonti di energia puntando sulle rinnovabili? Quanto pesa l’eolico fra queste? E dove va il vento?

L’Anev, associazione nazionale energia del vento, cerca di rispondere a queste domande il 13 giugno a Roma in un convegno dal titolo ‘Eolico: la strada verso la competitività e la piena integrazione nella rete’. Il portale di settore Ecoseven.net ha messo a punto un’infografica con tutti i numeri dell’eolico in Italia. In Europa siamo medaglia di legno nella potenza installata (MW), lontanissimi da Germania e Spagna, ma facciamo meglio della Francia. Nel rapporto fra potenza installata e numero di abitanti scendiamo di molto in classifica. Si deve fare di più. La Germania ricava energia 4 volte in più di noi, la Spagna quasi 3. Le regioni del Sud primeggiano (quelle del Nord se fossero battute dal vento non sarebbero così inquinate); Puglia, Sicilia e Campania sono al top ma Liguria e Toscana, fra il 2011 e il 2012, sono cresciute di più. Quest’anno non ci sono ancora dati, ma la piovosa primavera sembra aver rallentato la produzione di energia eolica. Come pubblicato dalla rivista Science, infatti, la pioggia condiziona la velocità del vento frenandolo.

Investire nell’eolico significa innanzitutto essere meno dipendenti dall’estero nell’approviggionamento energetico: nel 2012 i barili di petrolio risparmiati ammontano a quasi 20 milioni pari a 10 milioni di tonnellate di Co2 sottratte all’atmosfera. Notevoli le ricadute sul mercato del lavoro. In Puglia, secondo una stima, nel 2020 potrebbero esser 12mila gli occupati nel settore, tanti quanti gli attuali dipendenti dell’Ilva di Taranto.

Oggi l’evoluzione delle tecnologie e della progettazione dei campi eolici consente una migliore integrazione nel paesaggio e una ridotta rumorosità. Tuttavia il settore non esprime tutte le sue potenzialità. Perché? Lo abbiamo chiesto a Simone Togni, presidente Anev. “Il settore è frenato dal complesso quadro normativo che regola l’accesso agli incentivi. Infatti le modifiche introdotte lo scorso anno (aste e registri) e le farraginosità esistenti per accedervi (garanzie fideiussorie), insieme alla situazione di grave difficoltà per le Pmi di ottenere credito, hanno reso le aste accessibili solo ai grandi o grandissimi operatori. Inoltre, il taglio degli incentivi subìto negli ultimi 5 anni (oltre il 45%) e l’introduzione della Robin Tax (10,5% degli utili) e dell’Imu (anche sugli impianti eolici) hanno di fatto chiuso ogni spazio di ulteriore crescita”. Cosa chiedete al ministro dell’Ambiente Andrea Orlando? “Che si batta per modificare l’attuale sistema di incentivazione portandolo dentro un meccanismo di Carbon Tax pura che vada a far pagare gli oneri della decarbonizzazione a chi inquina”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Le vittime dell’amianto e lo sviluppo sostenibile

next
Articolo Successivo

Fracking, Letta vuole ospitare un esperimento incontrollato?

next