Migliaia di persone hanno partecipato alla manifestazione indetta a Mosca per chiedere una Russia senza Putin. L’opposizione ha scelto il 12 giugno, il “giorno della Russia” che ricorda la fondazione 23 anni fa del moderno Stato democratico russo, per contestare quello che considera il corso sempre più autoritario del terzo mandato putiniano. L’ex agente del Kgb siede al Cremlino dal 2000, un potere spezzato soltanto dal quadriennio alla presidenza di Dmitry Medvedev, durante il quale Putin mantenne comunque per sé il ruolo di primo ministro.
Meta della marcia è piazza Bolotnaya, teatro il 6 maggio dell’anno scorso della protesta contro l’insediamento del leader russo. Una protesta culminata in scontri tra i manifestati e la polizia per i quali sono a processo 12 dimostranti, considerati “prigionieri politici” dagli oppositori e dalla associazioni per la tutela dei diritti umani, mentre almeno altri 16 sono stati incriminati per i “disordini di massa”.
In testa alla marcia c’era il blogger anti-corruzione Alexei Navalny, figura di spicco tra le voci critiche verso il presidente, che nei giorni scorsi ha annunciato l’intenzione di correre per la poltrona di sindaco di Mosca. In strada i manifestanti hanno scandito slogan per esortare Putin alle dimissioni e intonato canti a favore di Lyudmila l’ormai ex moglie dalla quale ha annunciato il divorzio pochi giorni fa.
Nella manifestazione di oggi il presidente russo vede l’ingerenza di Washington e accusa i diplomatici statunitensi di sostenere gli oppositori. Il timore di interferenze straniere, o meglio americane, nelle vicende interne russe è stato finora uno dei tratti del nuovo mandato, assieme alla stretta sulla società civile. In legge è stato tradotto nella norma che obbliga le organizzazione che ricevono fondi dall’estero e si occupano di politica a registrarsi come “agenti stranieri”, con un termine che rimanda all’epoca sovietica.
Un obbligo considerato un tentativo di colpire le organizzazione non governative e le associazioni che lavorano per la tutela dei diritti umani e civili nella Federazione e che ha avuto come bersagli nomi di primo piano come Memorial Golos, il centro di monitoraggio elettorale che nel corso delle legislative del dicembre 2011 segnalò diverse irregolarità a favore del partito al governo.
L’ultimo atto della stretta conservatrice e repressiva è stato il voto con cui ieri la Duma ha approvato la legge che vieta e punisce con multe la “propaganda dell’omosessualità tra i minori” e quella che punisce con pene fino a tre anni di carcere i comportamenti giudicati offensivi del sentimento religioso. Legge quest’ultima che rimanda alla mente la vicenda delle componenti del collettivo Pussy Riot, condannate per aver inscenato una protesta dentro la cattedrale del Cristo Salvatore a Mosca.
Putin tuttavia, dicono gli ultimi sondaggi, continua a riscuotere il gradimento della maggioranza dei russi. Oggi, poco prima della marcia, ha avuto ufficialmente la guida del Fronte popolare, l’organizzazione fondata nel 2011 a sostegno del partito Russia Unita che dovrà prendere il posto di una forza politica sempre più mal vista. Il consenso che gode tra i russi non è condiviso dai suoi oppositori. Nelle scorse settimane l’ex campione di scacchi, ora figura di spicco della galassia anti-putiniana, Garry Kasparov ha detto di non aver intenzione di tornare in Russia perché teme di finire sotto indagine a causa della sua attività politica. D’altra parte già altri oppositori di primo piano hanno avuto guai giudiziari. Ne ha avuti Navalny, indagato per truffa e riciclaggio e ne ha avuti il leader del Fronte della sinistra Sergei Udaltsov, ai domiciliari con l’accusa di complotto e di aver organizzato gli scontri durante le proteste, che se condannato rischia fino a 10 anni di carcere.
La decisione di Kasparov fondatore del movimento Solidarity, che ha lasciato lo scorso aprile, non è un caso isolato. Due settimane fa fu l’economista Sergei Guriev a lasciare il Paese nel timore di ritorsioni per aver contribuito alla stesura di un rapporto critico verso la carcerazione dell’oligarca Mikhail Khodorkovsky, il più prominente degli avversari di Putin finiti nei guai.
di Andrea Pira