Spegnere la televisione equivale a spegnere la democrazia. Quando poi l’attacco alla democrazia viene rivolto proprio alla Grecia, culla della democrazia e della civiltà occidentale (il termine, “démos+cràtos”, deriva proprio dal greco, come almeno una parola su cinque del nostro vocabolario) il problema non può riguardare un solo Stato ma quantomeno, l’intero continente europeo.
Il presidio di ieri davanti all’Ambasciata greca ha espresso un sentimento di angoscia e inquietudine per le sorti della televisione pubblica, chiusa con un colpo di mano perché “da qualche parte si doveva cominciare con il licenziamento degli impiegati statali” (duemilaottocento).
Ma chiudere la tv di stato, anche in un Paese come la Grecia equivale a un atto palesemente incostituzionale. Lo dicono gli stessi giuristi greci ricordando che né un presidente né un tribunale possono decretare lo spegnimento del servizio pubblico ellenico. Lo dice la stessa Costituzione che all’art.14 (il corrispettivo del nostro art.21) chiarisce: “Ciascuno può esprimere e diffondere il proprio pensiero per mezzo della parola, dello scritto e della stampa, nel rispetto delle leggi dello Stato”. “La stampa è libera. La censura e tutte le altre misure preventive sono proibite”.
Per queste ragioni nella petizione che abbiamo lanciato sul sito Change.org e che vi invitiamo a firmare chiediamo al Parlamento europeo di far sentire, ora e subito, la sua voce e di invitare il governo greco a recedere dalla sua decisione, e di disporre la immediata accensione dei ripetitori, e, in caso contrario, di procedere alla relativa apertura della procedura di infrazione”.
La protesta di ieri davanti all’ambasciata greca deve ora trasferirsi di fronte al cancello di un’altra sede diplomatica, quella turca, dove i giornalisti di tv e giornali liberi vengono zittiti, perseguitati, incarcerati, minacciati, pesantemente sanzionati. La loro colpa? Dare voce alla protesta popolare.