La riduzione del finanziamento pubblico ai sistemi regionali, frutto dei tagli lineari del governo Berlusconi prima e del rigore del governo Monti, sta toccando in profondita il Servizio sanitario nazionale. La spesa personale dei cittadini per la salute ha toccato una quota pari all’1,8% del Pil mentre il 12,5% delle famiglie dice di aver dovuto rinunciare “ad almeno una prestazione sanitaria”. Anche dal governo Letta provengono messaggi poco rassicuranti.
La neo-ministra, Beatrice Lorenzin, è stata piuttosto esplicita nella sua audizione alle commissioni Sanità di Camera e Senato. “Siamo passati da un’universalità forte e incondizionata – ha detto la scorsa settimana – a un’universalità mitigata per garantire le prestazioni necessarie e appropriate solo a chi ne abbia effettivamente bisogno”. “Una riforma del sistema è non più procrastina-bile”. Il gioco delle parole è ingegnoso: apparentemente l’universalità del servizio – pagato dalle tasse di tutti (almeno di chi le paga) – non è messo in discussione ma da “forte” diventa “mitigata” finalizzata a garantire prestazioni “solo a chi ne abbia effettivamente bisogno”.
A parole i tagli sono banditi, occorre lavorare sulla “spesa standard” e sulla lotta agli sprechi. Nella sostanza, però, si pensa a “limitare l’accesso alle strutture ospedaliere e ai pronto soccorso”. Quali che siano le scelte che saranno fatte, è il Censis a rilevare che circa 12 milioni di italiani sono sempre più distanti dal servizio sanitario nazionale costretti a mettere mano ai propri risparmi per pagarsi le cure. I motivi di questa fuga sono diversi.
La ragione principale è la lunghezza delle liste d’attesa (per il 61,6%) e la convinzione che se paghi vieni trattato meglio (per il 18%). Si ricorre al privato soprattutto per l’odontoiatria (90%), le visite ginecologiche (57%) e le prestazioni di riabilitazione (36%). Ma il 69% delle persone che hanno effettuato prestazioni sanitarie private reputa alto il prezzo pagato e il 73% ritiene elevato il costo dell’intramoenia. Al 27% è anche capitato di constatare che il ticket per una prestazione sanitaria fosse superiore al costo nel privato. È vero solo in parte, e solo per accertamenti a basso contenuto tecnologico ma contribuisce ad alimentare una sensazione di insicurezza e scarsa copertura pubblica.
Secondo il Censis, sulla base di queste “percezioni”, il 20% degli italiani sarebbe disposto a spendere circa 600 euro l’anno, 50 al mese, per avere una copertura sanitaria integrativa. Le coperture maggiormente desiderate riguardano le visite specialistiche e la diagnostica ordinaria (52%), le cure dentarie (43%) e i farmaci (23%).
È molto alta, però, la percentuale di italiani che non ha mai sentito parlare o ne ha sentito parlare senza capire bene, di sanità integrativa è il 68%. Sono invece 6 milioni quelli che una formula integrativa già la possiedono. Considerando i familiari il numero sale a 11 milioni.
Infine il ticket. Il 50% degli italiani ritiene che sia una tassa iniqua, il 19,5% pensa che sia inutile e il 30% lo considera invece necessario per limitare l’acquisto di farmaci. Si lamentano di dover pagare ticket elevati soprattutto per le visite ortopediche (53%), l’ecografia dell’addome (52%), le visite ginecologiche (49%) e la colonscopia (45%). Il 41% degli italiani, inoltre, dichiara che la sanità pubblica copre solo le prestazioni essenziali e tutto il resto bisogna pagarselo da soli. Per il 14% la copertura pubblica è insufficiente per sé e la propria famiglia, mentre il 45% ritiene adeguata la copertura per le prestazioni di cui ha bisogno.
Il welfare e le risorse. Un’altra voce che aiuta a spiegare i casi come Emergency a Marghera è quella delle politiche sociali. Secondo un’analisi di Quotidiano Sanità sui numeri forniti dalle Regioni vengono ricostruiti i percorsi e gli stanziamenti di tutti i fondi che riguardano le politiche di welfare. Ne emerge che Il Fondo nazionale per le politiche sociali “si è contratto del 77,8% passando da uno stanziamento di 1,884 mld del 2004 ai 344,17 mln del 2013”. Il Fondo nazionale per le politiche giovanili istituito nel 2007 “è stato completamente azzerato nel 2013 così come il Fondo per le Pari opportunità e per il Fondo per le politiche della famiglia”. il Dipartimento della Gioventù e la singola Regione”.
Da Il Fatto Quotidiano del 10 giugno 2013