Lo scontro Gambaro-Crimi è più nuovo di quello Santanché-Brunetta, ed è ovvio che faccia notizia, ma stupisce che nessuno prenda in considerazione il più potente effetto collaterale delle larghe intese: la rapida estinzione dei partiti italiani come strutture di elaborazione e di azione politica organizzata. Non c’è tema vero che susciti dibattito e presa di posizione. Dalle riforme costituzionali agli scontri in Turchia è tutto un “boh”. L’idea che la politica sia l’arte di capire e governare le cose è sostituita dalla compulsiva contemplazione di sè, con effetti paralizzanti.
Nel Pd non è ancora chiaro nemmeno se e quando si arriverà al congresso. Il Pdl discute sulla sua possibile trasformazione in una holding, con specialisti in fund-raising al posto dei segretari regionali. La Lega rinuncia a eleggere il nuovo segretario e lavora per pensionare l’inner circle bossiano. Sel è non pervenuta. La destra favoleggia di impossibili ritorni alle origini. Dopo un anno di Monti e due mesi di Letta, la misurazione dei rapporti di forza interni sembra l’unica attività degna di nota dei partitoni e dei partitini, in una scala d’intensità che va dalla faida tribale (Bossi-Maroni) al duello in punta d’intervista (falchi-colombe del Pdl, bersaniani-lettiani nel Pd).
Capisco il sentimento di delusione, e anche di rabbia, per “l’occasione perduta” del Cinque Stelle. Ma poi leggo Feltri, che invita Grillo a dichiarare fallimento e ritirarsi a vita privata. Poi sento la Polverini che accusa i grillini di ingordigia (sic!) per essersi presi le vicepresidenze di Commissione. E vedo “L’Unità” che gongola sul «M5S nel caos», e mi viene voglia di dire: sicuri che a casa vostra le cose vadano molto meglio? Sicuri che la crisi afasica della politica italiana riguardi solo Beppe Grillo?