Carcere a vita per l'imprenditore salentino che il 19 maggio del 2012 ha fatto esplodere una bomba davanti alla Morvillo Falcone: perse la vita la sedicenne Melissa Bassi, ferite altre nove persone
Carcere a vita per Giovanni Vantaggiato. La Corte d’Assise di Brindisi ha condannato all’ergastolo l’imprenditore salentino per l’attentato davanti alla scuola Morvillo Falcone della città adriatica. Era il 19 maggio dell’anno scorso quando Vantaggiato, dopo aver posizionato nella notte precedente un ordigno rudimentale nei pressi dell’istituto scolastico, attese l’arrivo dei primi studenti e azionò il comando a distanza che azionò la bomba. A causa della deflagrazione perse la vita la studentessa sedicenne Melissa Bassi, altre nove persone tra studenti e passanti rimasero ferite. ”Abbiamo avuto un minimo di giustizia. Nessuna condanna ce la restituirà, ma noi abbiamo sempre creduto nella giustizia” ha detto Rita Bassi, la madre della studentessa uccisa, subito dopo la lettura della sentenza. I giudici della Corte d’Assise, inoltre, hanno riconosciuto, così come chiesto dall’accusa, l’aggravante della finalità terroristica al reato di strage di cui era imputato Giovanni Vantaggiato. “E’ stata riconosciuta la nostra impostazione”, ha detto il procuratore capo della Dda di Lecce Cataldo Motta.
Non solo. La corte ha anche comminato 18 mesi di isolamento diurno a Vantaggiato e stabilito un risarcimento danni di 400mila euro ciascuno per i genitori di Melissa, di 200mila euro ciascuno per le cinque ragazze ferite in modo più grave, 200mila euro per la Regione Puglia e 100mila per una sesta ragazza ferita. I genitori di Melissa hanno confermato che il denaro verrà devoluto in beneficenza.
Le accuse a carico del 69enne commerciante di carburanti agricoli di Copertino, in provincia di Lecce, erano di strage aggravata dalla finalità terroristica, in concorso con ignoti, e costruzione, possesso ed esplosione di ordigno micidiale relativamente ai fatti di Brindisi. Il procedimento è stato unificato con quello del precedente attentato confessato da Giovanni Vantaggiato, quello del febbraio del 2008 ai danni dell’imprenditore agricolo Cosimo Parato, suo cliente e presunto truffatore (o forse socio in affari poco chiari). Per questo primo episodio in ordine cronologico, in quanto avvenuto a Torre Santa Susanna il 24 febbraio del 2008, Vantaggiato rispondeva di tentato omicidio pluriaggravato e costruzione, possesso ed esplosione di ordigno micidiale. E’ proprio la contestazione dell’aggravante terroristica il motivo per cui l’accusa al processo è stata sostenuta dalla Procura distrettuale antimafia di Lecce. Il processo, iniziato a gennaio, è stato caratterizzato da momenti di commozione e di angoscia.
In particolare le testimonianze delle ragazze ferite, che hanno descritto gli ultimi istanti della vita di Melissa, le scene drammatiche cui si sono trovate di fronte, le sofferenze fisiche e le conseguenze psicologiche riportate, e il volto parzialmente coperto con il quale la moglie dell’imputato, Giuseppina Marchello, si è presentata in aula convocata nella veste di testimone, decidendo poi di avvalersi della facoltà di non rispondere. Per quanto riguarda il movente che ha spinto Vantaggiato ad uccidere la corte non ha avuto dubbi: la rabbia accumulata per una presunta ingiustizia subita. secondo quanto emerso dalle indagini, infatti, all’imprenditore non sarebbe bastato il fatto che il presunto autore della truffa ai suoi danni fosse stato condannato in primo grado solo un mese prima. Si aspettava di più dalla giustizia. Magari che il Tribunale condannasse anche chi era stato assolto in quel procedimento (un carabiniere e altre persone). Forse pretendeva che il risarcimento economico arrivasse subito. Questo è quanto lo stesso unico imputato, reo confesso, del processo davanti alla Corte di Assise di Brindisi ha raccontato durante una delle ultime udienze di fronte ai genitori esterrefatti di Melissa.
Lo stesso Vantaggiato, del resto, rispondendo alle domande dei pm e delle parti civili, in aula ha spiegato che quello del 19 maggio 2012 doveva essere solo “un atto dimostrativo” verso il Tribunale, che però si trova non nelle immediate vicinanze della scuola ‘Morvillo-Falcone’. Il gesto, quindi, gli sarebbe sfuggito di mano. Non si sarebbe accorto della presenza delle ragazze che sopraggiungevano. “Quando ho spinto il telecomando non vedevo nulla, ero dietro il chiosco. Non avevo l’intenzione di uccidere, è stata una cosa accaduta senza la mia volontà”, ha detto durante l’interrogatorio. “Non ce l’avevo né con la scuola, né con le ragazze. Se avessi voluto fare del male, avrei potuto fare più morti. Non mi sono accorto che arrivavano le altre ragazze” ha detto ancora in aula, ribadendo di avere agito da solo (anche se in alcuni interrogatori il 69enne ha utilizzato il plurale) e che la moglie era all’oscuro di tutto. Vantaggiato, inoltre, ha negato di avere programmato un attentato a un pm o al giudice che aveva emesso la sentenza sulla truffa attribuita a Parato, nonostante abbia raccontato un sopralluogo effettuato al Tribunale per memorizzare le targhe delle auto.
Il 69enne, tuttavia, non ha saputo rispondere alle domande dei pubblici ministeri che gli chiedevano per quale motivo abbia scelto di usare un ordigno esplosivo così potente (costituito da tre bombole di gas riempite di zolfo, carbone e nitrato di potassio) e di farlo esplodere non di notte ma di giorno, in un orario in cui è noto a tutti che entravano i ragazzi a scuola. Poteva far scoppiare l’esplosivo la notte precedente, quando aveva trasportato le bombole e nei dintorni non camminava nessuno e, invece, decise di rientrare a casa, fino a Copertino (Lecce), di riposarsi e di far ritorno poco dopo le 7 a Brindisi quando la città cominciava ad animarsi. Su questa volontà di fare molto rumore e di far in modo che avesse degli effetti clamorosi ci sono, secondo l’accusa, delle dichiarazioni dello stesso imputato in occasione di alcuni interrogatori successivi al fermo. E anche in un interrogatorio del gip nella fase delle indagini preliminari spiegò di non aver messo la bomba, ad esempio, davanti a una caserma dei carabinieri o più vicino al Tribunale perché erano luoghi “troppo sorvegliati”, anche grazie alla presenza di telecamere.
“Per questo rinunciai” ha detto Vantaggiato, che tuttavia non aveva fatto i conti con altre telecamere, come quella del chioschetto di fronte alla scuola, che hanno contribuito a incastrarlo. Tutto era andato “come nelle previsioni”, disse in un altro interrogatorio, aggiungendo di aver premuto una seconda volta sul bottone del telecomando per essere sicuro che esplodesse. Secondo gli investigatori, sentiti come testimoni al processo, dal luogo in cui si trovava era in grado di “accorgersi del flusso di persone che stava andando verso la scuola”. Particolare scalpore ha suscitato nelle prime fasi del processo la rivelazione del pm Cataldi del contenuto delle intercettazioni in carcere di alcuni colloqui di Vantaggiato con i familiari. L’uomo parlava più volte della volontà di dimostrare alla Corte di essere incapace di intendere e di volere. “Devo arrivare al processo mezzo vivo e mezzo morto – diceva – in un modo o nell’altro io da qua devo uscire”. Anche per questo motivo, oltre che per il modo in cui ha risposto alle domande in occasione del suo esame nella penultima udienza, l’uomo non solo è stato giudicato capace di stare al processo e di seguirne tutte le fasi (decisione assunta in una delle prime udienze), ma, secondo quanto scritto dalla Corte di assise nell’ordinanza con cui è stata rigettata la richiesta di una perizia psichiatrica avanzata dalla difesa, “era lucido e cosciente nel momento in cui ha progettato e realizzato l’attentato alla scuola Morvillo di Brindisi”.