Uno studio di AlixPartners analizza il settore in tutto il vecchio continente. Con l'eccezione di Gran Bretagna e Germania, tutti i Paesi sono in crisi, a partire proprio dal nostro, dove, oltre agli impianti, sono a rischio migliaia di concessionari
Le prospettive dell’industria automobilistica europea, salvo rare eccezioni (Germania e Regno Unito), sono disastrose. E quelle dell’Italia ancora di più. E’ quanto emerge da uno studio di AlixPartners, società di consulenza internazionale che ogni anno passa ai raggi x il settore a livello mondiale. Valutando capacità produttiva e fabbricazione effettiva. E tirando le conseguenze: il nostro Paese, ad esempio, se vuole ritornare nei ranghi, cioè verso una normale redditività, dovrebbe tagliare una parte della capacità pari a 600mila veicoli. Come dire chiudere due stabilimenti di medie dimensioni.
Ma cominciamo dalla situazione del Vecchio continente nel suo complesso. Se nel 2011 era il 40% di tutti gli impianti automobilistici a essere utilizzato al di sotto del 75% della loro capacità (praticamente, a perdita), adesso nel 2013 siamo già saliti al 58%. Insomma, quasi i due terzi del totale. “E il futuro non appare roseo – ha sottolineato lunedì a Parigi Laurent Petizon, direttore generale di AlixPartners France – non prevediamo un rilancio del mercato delle auto in Europa fino al 2019. E solo quello, nella maggior parte dei casi, potrebbe determinare una ripresa della produzione”. Sì, perché la quota destinata all’export resta in generale ridotta. Il mercato dell’Europa dell’Ovest e, quindi, il numero di veicoli venduti è crollato da 16 a 12 milioni di unità fra il 2008 e le stime a fine 2013. Il Vecchio continente (Russia compresa, anche se non è questo il Paese con i problemi maggiori) dispone di una sovracapacità produttiva di tre milioni di veicoli. Che significa linee di montaggio inutilizzate da sforbiciare.
Alcune case stanno già per chiudere diversi stabilimenti. Psa Peugeot-Citroen cesserà la produzione a Aulnay-sous-Bois il prossimo 31 dicembre e ridurrà la capacità dell’impianto di Rennes. Mentre Opel chiuderà nel 2014 la fabbrica di Bochum. Quanto a Ford rinuncerà a tre impianti in Belgio e nel Regno Unito. “Ma, se il mercato resterà a questi livelli – ha continuato Petizon – bisognerà tagliare ulteriormente”. Nei dettagli la situazione non è la stessa in ogni Paese. Gli stabilimenti tedeschi e britannici riescono ormai a utilizzare più dell’80% della loro capacità, perché si sono specializzati in vetture d’alta gamma, destinate non solo al mercato europeo, ma anche a quelli cinese e americano, attualmente in piena espansione. E’ incredibile per i britannici se si pensa alla crisi di un tempo. E alla rinascita dovuta al successo di Jaguar, passata all’indiana Tata, o di Mini, proprietà di Bmw. La situazione più difficile, invece, si registra in Spagna (dove nel 2013 solo il 67% della capacità è utilizzata), in Francia (62%) e soprattutto in Italia, dove, secondo AlixPartners, siamo al 46%. Secondo le stime della società di consulenza, ciascuno di questi tre Stati, i grandi malati dell’industria dell’auto del Vecchio continente, per ritornare sopra la quota dell’80% di utilizzo, dove scatta la redditività, dovrà tagliare la produzione di 600mila unità, che significa due impianti di medie dimensioni in ciascun Paese. Per l’Italia rappresenterebbe l’ennesimo colpo di grazia per una capacità produttiva di 1.467.000 unità, più bassa che in Turchia (un milione e 659mila), Regno Unito (1,936 milioni), Francia (2,805), Spagna (tre milioni e 130mila), Russia (3,821) e Germania (6,659).
Lo studio di AlixPartners indica espressamente che le sue previsioni non tengono conto della possibilità di produrre in Italia, negli stabilimenti Fiat, le Jeep del gruppo Chrysler, che potrebbero rappresentare uno “sfogo” per l’industria dell’auto e permettere tagli meno consistenti di quelli previsti. Anche altri effetti della supposta “cura Marchionne” sul gruppo Fiat, a partire dal 2014, non sono stati presi in considerazione (e andranno verificati nella realtà delle cose). Lo stesso discorso in Spagna, dove in realtà le case presenti, soprattutto Volkswagen e Nissan, prevedono di aumentare la produzione, “perché, con il costo del lavoro in calo, dovuto alla crisi, la Spagna si sta trasformando in un Paese a produzione low cost. I tagli da noi previsti forse si riveleranno eccessivi”. Quanto alla francese Psa, rappresenta, per la società di consulenza, la casa automobilistica più vulnerabile di tutta l’Europa. Con scarse prospettive di miglioramento.
Passando a considerare i concessionari, AlixPartners continua a puntare il dito sull’Italia. Il 75% di quelli del nostro Paese lavorerebbe già in rosso. “Se la guerra dei prezzi si intensifica ancora di più fra i diversi costruttori – ha concluso Petizon – il 41% dei 3.800 concessionari italiani potrebbe essere costretto a chiudere i battenti entro il 2014. Se, invece, la corsa alla riduzione dei prezzi fosse meno aggressiva, sarebbero in meno a chiudere. Comunque l’11% del totale”.