Nonostante i forti aumenti di produttività consentiti dagli avanzamenti tecnologici, l’umanità è ancora lungi dall’aver sconfitto la fame. Il diritto a un’alimentazione qualitativamente e quantitativamente adeguata è stato proclamato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, dal Patto sui diritti economici, sociali e culturali e da vari altri atti internazionali, ma è ancora lungi dall’essere concretamente realizzato, se si pensa a quanta parte dell’umanità patisca ancora fame e sottoalimentazione.
La fame mondiale, secondo l’Indice Globale della Fame 2012 (GHI), è leggermente calata rispetto al 1990, ma resta “grave”. La media mondiale nasconde drammatiche differenze fra le regioni e i Paesi. A livello regionale,venti Paesi hanno ancora livelli di fame “estremamente allarmanti” o “allarmanti”. La maggior parte dei Paesi con livelli di Ghi allarmanti sono nell’Africa subsahariana e in Asia meridionale.
Inquietante appare anche la circostanza che finanche nella progredita Europa si registrino oggi crescenti sacche di povertà le quali comportano nella pratica l’impossibilità di accedere a tale diritto. Nella ricca Gran Bretagna, sede d’elezione della finanza internazionale, infatti, si calcola che una madre su cinque non abbia di che sfamare in modo soddisfacente i propri figli, mentre aumentano l’impegno e la mole di lavoro delle organizzazioni umanitarie. Una situazione tale da spingere una di queste organizzazioni umanitarie, il Trussell Trust, a parlare di “epidemia di fame”. Per non parlare dei PIGS, in particolare della Grecia, dove oramai sono moltissime le persone costrette a frugare nella spazzatura per trovare qualcosa di che cibarsi.
Tanto più significativo il fatto che diciotto Stati, fra cui Cuba e Venezuela, siano stati insigniti recentemente dalla Fao per aver dimezzato e più il numero delle persone malnutrite. Nel caso del Venezuela si è passati dal 13,8% di prima della rivoluzione civile al 2,4%, un dato semplice ed estremamente emblematico che nessuna campagna di disinformazione è in grado di contrastare.
Nel ricevere il premio, il presidente Nicolas Maduro ha fatto un’affermazione che dovrebbe essere ovvia, ma che è smentita dalla prassi quotidiana di molti Stati ridotti all’ombra di se stessi o all’esercizio esclusivo delle funzioni di repressione, e cioè che per garantire i diritti fondamentali come quello all’alimentazione occorre un rafforzamento del quadro giuridico e politiche pubbliche. Cioè occorre più Stato.
Questo vale per l’alimentazione come per tutti i diritti. Anche quelli in campo culturale. Dove ai successi dell’educazione musicale in Venezuela fa da contrappunto la triste fine dell’orchestra sinfonica greca.
Tanto più significativi i risultati raggiunti da Paesi come Cuba e Venezuela, se si pensa alle campagne di destabilizzazione cui essi sono soggetti da parte degli Stati Uniti. Nel caso di Cuba tale campagna assume da oltre cinquant’anni la forma del bloqueo, volto a scongiurare ogni possibilità dell’isola ribelle di entrare in contatto con terzi Stati o imprese private. Una gravissima ingerenza negli affari interni cubani, una violazione del diritto all’autodeterminazione del popolo cubano e un oltraggio al principio della libertà di commercio che pure le potenze occidentali omaggiano sempre formalmente. Nel caso del Venezuela viene invece finanziata un’opposizione che in alcuni casi si spinge all’azione violenta, come dimostrano le undici persone uccise dopo le recenti elezioni. E, come avvenne in passato in Cile e altrove, si spinge al boicottaggio economico da parte dei grandi gruppi che vanno messi in condizione di non nuocere.
Aver saputo superare con fermezza la crisi scatenata dalle opposizioni che volevano approfittare della scomparsa del presidente Chavez per dare inizio a una vera e propria guerra e civile, è certamente un merito del presidente Maduro. E’ interesse comune che venga sconfitto ogni tentativo in questo senso e che l’esperienza della rivoluzione bolivariana si consolidi e proceda, costituendo un esempio la cui portata, come ho già avuto modo di affermare, va ben al di là dei confini venezuelani e di quelli stessi dell’America Latina.