“Ogni uomo è un’isola” scriveva Saramago nel suo Racconto dell’isola sconosciuta. Un’isola nell’isola, verrebbe da aggiungere, dopo aver letto il pregevole romanzo di Max Bosso E’ semplicemente amore (Edizioni Anordest, 2013, Euro 13,90, 218 pagine). Opera prima di un nuovo, promettente scrittore sardo e verrebbe da riflettere su quanti figli della nostra Sardegna stiano arricchendo le fila della letteratura italiana del XXI secolo: Nicola Lecca, Giorgio Todde, Marcello Fois, Michela Murgia, Flavio Soriga, Salvatore Niffoi solo per citare i primi che vengono alla mente.

L’insularità, dicevamo. Elemento centrale di questo romanzo, almeno quanto il desiderio, la fuga e l’utopia. Ingredienti preziosi nella vita di ogni uomo che legge o scrive. Punti di cesura che spesso cuciono le stagioni di passaggio, dall’adolescenza alla prima maturità. Insularità, desiderio, fuga e utopia sono anche i mattoni su cui Max Bosso costruisce la solida impalcatura di questo romanzo che narra il difficoltoso farsi uomo di Tommy – sorta di visconte dimezzato dei nostri tempi- un ventenne diviso fra Torino, terra del reale, e lo Sperone del Gigante, in Ogliastra, terra dell’utopia, se consentite l’ossimoro, ma soprattutto diviso interiormente fra la ex fidanzata Sabrina e Said, giovane tunisino che irrompe nella sua vita come un criminale, lasciandolo sin dal primo momento con le tasche e il cuore rivoltati.

Ancora nel 2013, non sono molti i romanzi italiani che affrontano in modo diretto o indiretto il tema della bisessualità. Bosso lo fa in chiave minimalista, scrivendo in terza persona narrante dal punto di vista di un lettore onniscente e accostando una dietro l’altra le tessere di un mosaico di emozioni e sentimenti cangianti, che si alternano in modo graduale ma univoco. Colori sbiaditi, quasi evaporati per la relazione morente con la donna, tinte accese e odori acuti per l’innamoramento con l’uomo. Ne viene fuori un quadro onesto, credibile, realista anche nell’egoismo e nella sprovvedutezza che caratterizza il protagonista, al punto di mettere in serio pericolo la vita dell’amato. Ma quale ventenne non è egoista e sprovveduto?

Più maturo e introspettivo risulta il deuteragonista, Said: “Quando non capiamo gli altri, non si deve pensare che sono strani” riflette il tunisino, abituato a non essere capito, anche a causa delle sue origini straniere e della sua pelle leggermente più scura. Lo stesso Tommy, pure così innamorato di una propria idea di Said, sembra capirlo solo a tratti, mostrando un coinvolgimento che si ciba di confusione, istinto e corporalità più che di condivisione ed empatia: “Tommy sentì di avere voglia di abbracciarlo, di toccarlo. Un’energia dirompente si era impadronita  delle regioni più periferiche del suo corpo e ora chiedeva soddisfazione. Non poté che buttarla sul gioco. Afferrò un cuscino e glielo lanciò, colpendolo alla testa. Il cuscino rimbalzò e Said, dopo un secondo di stordimento, glielo lanciò a sua volta, dritto in faccia.”

Il romanzo, già finalista al prestigioso Premio Calvino con il ben più convincente titolo “La qualità del dono“, brilla per la qualità della scrittura, la capacità di offrire descrizioni acute di cui il lettore riesce a percepire anche gli odori, e uno stile narrativo evocativo, curato, armonioso ed elegante. Anche i personaggi secondari, come l’enigmatico commerciante Paolino o la stessa Sabrina, sono finemente tratteggiati e si esprimono secondo un proprio accurato vocabolario. Non male anche la scelta editoriale della copertina, col primo piano di due giovani ragazzi che dormono abbracciati, sebbene i colori della foto e della controcopertina risultino un po’ troppo lattiginosi e spenti, difficili a notarsi in libreria.

 

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