I Millennials, noti anche come Generazione Y, ovvero i nati tra il 1980 e il 2000, amano cucinare e conoscere i prodotti che mangiano. Ecco perché la più nota catena di fast food al mondo non rientra più nella top ten delle loro preferenze in fatto di cibo
Addio McLunch? Forse, un giorno. Secondo quanto riporta Slow Food (dati NPD Group), McDonald’s, la più nota holding di fast food al mondo, non rientra più nella top ten delle catene ristorative preferite dai giovani statunitensi fra i 18 e i 32 anni: cioè, un range di consumatori compreso fra i 59 e gli 80 milioni di persone, che la Mac aveva sempre avuto dalla sua. Chi sono questi consumatori delusi? I membri della Generazione Y, anche detti Millennials (coloro che sono nati tra il 1980 e il 2000). Negli ultimi quattro anni si è registrato un calo del 16% dei pasti consumati fuori da questa fascia di clienti.
Sarà la scarsa popolarità della catena di fast-food che negli anni ha subito critiche diverse ma tutte utili a minarne la credibilità? Sicuramente i Millennials sono differenti dai membri della Generazione X (nati tra il 1960 e il 1980) che erano invece molto attratti dai prodotti sponsorizzati da Ronald McDonald’s. Perché? Semplice, i giovani di oggi amano cucinare e conoscere i prodotti che cucinano. O altrimenti consumare fuori dei pasti elaborati. La realtà è che i Millennials hanno valori molto più classici rispetto a quelli dei propri predecessori: in un sondaggio condotto da Mtv su un campione di ragazzi tra i 12 e i 34 anni, provenienti da 15 paesi diversi, alla domanda su quale fosse il loro più grande desiderio, la maggioranza degli intervistati ha risposto: «Un buon lavoro, vivere bene e che i miei siano fieri di me».
Dopo la sbornia consumistica degli anni Ottanta, in cui i Millennials sono cresciuti, il day after della crisi del secolo sembra aver portato giudizio nelle nuove generazioni. E ciò si riflette sulla scelta del pasto: «Mi piace conoscere la storia dei posti dove mangio. Penso che sia fondamentale nutrire sia lo stomaco che lo spirito», dichiara Vera Chang, 26 anni, del Vermont (Usa). Si è passati quindi da un rifiuto dettato da una spinta anti-consumistica che alla fine degli anni Novanta cominciò a minare l’immagine della McDonald’s (considerata come la bandiera della fast culture a stelle e strisce), che in libri-icona dei movimenti antiglobalisti come No Logo di Naomi Klein crebbe in condanna morale, fino a maturare in una vera e propria disaffezione dettata da criteri qualitativi dei prodotti da fast-food.
Secondo l’amministratore delegato di McDonald’s Don Thompson, il rischio per il gigante del cibo a portare via è che hamburger e patatine fritte non siano più di moda e che catene come Subway, che prepara panini espressi su richiesta del cliente, abbiano la meglio sul mercato della ristorazione veloce. Si tratta di una tendenza globale. Infatti, proprio in questi giorni in Bolivia, dopo 14 anni di presenza, la catena di fast food chiuderà il suo ultimo Mac: nel Paese, i McBurger non sono mai riusciti ad attecchire su una cultura che ha tradizioni profonde manifestate anche dall’alimentazione quotidiana.
Jeffrey Sachs, economista della Columbia University crede che quando i Millennials entreranno in politica, riusciranno a cambiare la società ricostruendola non sul consumismo ma sull’umanesimo responsabile. “Siamo sempre ciò che mangiamo”: quest’affermazione suona più ambigua oggi, tra ogm, pesticidi e cibo contaminato. Le aziende multinazionali dovranno cominciare a preoccuparsi di più di cosa mettono dentro il prodotto, invece che occuparsi principalmente della confezione che usano: ormai è cresciuta la consapevolezza del consumatore su ciò che acquista e la sua scelta è ben ponderata vista la ridotta capacità di spesa dettata dalla crisi. Una condizione che forse significa non solo spendere meno, ma anche spendere meglio.