La Commissione Europea propone una rete internazionale degli uffici di collocamento. Nel mirino le strutture meno efficienti come quelle italiane
La disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è un problema drammatico che va risolto. A Bruxelles sono tutti d’accordo tanto che da mesi non si parla praticamente di altro e a questo sarà dedicato quasi interamente il prossimo summit europeo tra i capi di Stato e di governo di fine giugno. Eppure secondo la Commissione europea nel Vecchio Continente ci sono circa 1 milione e 700mila impieghi liberi. Un dato confermato dall’Osservatorio europeo dei posti di lavoro vacanti. Al punto che Bruxelles, stando alle parole del Commissario Ue all’occupazione Lazlo Andor, ha intenzione di mettere mano a quegli uffici di collocamento che funzionano meno bene, come quelli italiani.
Con un occhio alle statistiche Eurostat va detto che di questi tempi la disoccupazione non è un problema solo italiano. Nei 17 Paesi dell’Eurozona ha toccato ad aprile il 12,2%, il livello più alto mai raggiunto dal 1995 (27% in Grecia, 26,8% in Spagna, 17,8% in Portogallo e 12,8% in Italia). Stessa cosa per quella giovanile, arrivata a quota 24,4 per cento. L’Italia, con il suo 40,5% di giovani disoccupati, è al quarto posto dopo Grecia (62,5), Spagna (56,4) e Portogallo (42,5). In termini assoluti, l’esercito dei disoccupati della zona euro è arrivato a contare ad aprile 19,3 milioni di persone (26,5 nell’insieme dell’Ue), 95mila in più rispetto a marzo e 1,6 milioni in più rispetto a dodici mesi fa. Eppure qualche Paese riesce tutto sommato a sorridere, come l’Austria (4,9% di disoccupazione totale), Germania (5,4%) e Lussemburgo (5,6%).
Il paradosso è che, secondo le stime dell’Osservatorio europeo, in Europa i posti vacanti sono circa 1 milione e 700mila, meno rispetto al precedente quadrimestre, ma pur sempre una cifra rilevante di fronte alla massa di disoccupati che circola in tutto il continente. I settori scoperti sono i più disparati, vanno dal pubblico al privato e coprono una vasta gamma di professionalità. Com’è possibile? Secondo la Commissione europea, c’è qualcosa che non va nei servizi di pubblico impiego e di collocamento nazionali. “Nelle raccomandazioni economiche ai Paesi membri abbiamo chiesto a Italia, Spagna, Francia, Ungheria, Lituania, Romania e Repubblica Ceca di agire con urgenza per rendere efficienti i propri servizi”, ha detto il commissario all’occupazione Lazlo Andor in conferenza stampa, convinto che “i servizi di pubblico impiego devono giocare un ruolo cruciale nell’aiutare 26 milioni di disoccupati in Europa a trovare un lavoro”. Difficile dargli torto.
La Commissione ha quindi intenzione di lavorare alla creazione di una rete di uffici di collocamento nazionali per organizzarli meglio e renderli più efficienti nella gestione delle offerte ai giovani. In base alla proposta della Commissione, ogni Stato nominerà un membro del consiglio di questa nuova rete di servizi all’impiego che, volendo essere ottimisti, dovrebbe partire già dal 2014. Ma dove sono tutti questi posti di lavoro vacanti? Più o meno sparsi per l’Europa. L’osservatorio europeo considera infatti i 27 Paesi Ue come un unico mercato interno fatto di beni, servizi e appunto forza lavoro. Insomma il lavoro c’è ma bisogna spostarsi. Per questo l’Unione europea mette a disposizione Eures, un network per cercare lavoro in tutti i 27 Paesi Ue e in quelli dell’area economia europea (Islanda, Liechtenstein e Norvegia) con lo scopo di fornire servizi e assistenza a chi cerca e a chi offre lavoro.
I servizi prestati sono di tre tipi: informazione, consulenza, assunzione e collocamento. In pratica si tratta di un enorme database di offerte di lavoro su scala internazionale alle quali si può rispondere grazie all’aiuto di esperti consulenti. Agli ultimi European Job Days a Bruxelles, dove si dispensavano informazioni sul servizio Eures, gli organizzatori hanno registrato una forte affluenza di italiani, spagnoli e greci. Ma il problema maggiore per loro resta la lingua, in quanto per lavorare all’estero, una buona conoscenza dell’inglese resta il minimo.
Di disoccupazione e giovani, in ogni caso, parleranno i capi di Stato e di Governo che il 26 e 27 giugno si riuniranno a Bruxelles per definire la cosiddetta “Garanzia Giovani”, con la quale la Commissione europea mette a disposizione degli Stati membri consulenze specifiche in materia e soprattutto finanziamenti rivolti all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. E qui tocchiamo uno dei tasti dolenti, visto che per i prossimi sette anni di programmazione comunitaria (2014-2020) i governi nazionali hanno dato l’ok a soli 6 miliardi di euro destinati ai giovani, pochini a fronte di 28 paesi membri e alla gravità del problema. Ma questo passa il convento. Intanto i ragazzi del gruppo spontaneo e apartitico “Giovani Italiani Bruxelles” hanno scritto al premier Enrico Letta chiedendo un incontro a margine del summit europeo per esigere un impegno a far si che gli intenti si traducano in azioni concrete, “in favore di tutti quei giovani che hanno il desiderio di far crescere il nostro Paese”, si legge nella lettera. Ma gli esiti degli ultimi summit europei non fanno ben sperare.
@AlessioPisano