“L’ignoranza crea paure. Il sapere le distrugge”. Potrei riassumere con questa frase le due giornate del primo laboratorio sull’assistenza sessuale che si è svolto il 14 e 15 giugno 2013 al Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna dal titolo “La farfalla sulla pelle“, nato da un’idea del professor Nicola Cuomo. A partecipare all’incontro, famiglie con figli disabili mentali, due assistenti sessuali – Lorenzo dalla Svizzera e Milka dalla Germania – e il sessuologo Giorgio Rifelli.
I racconti delle famiglie hanno rappresentato il momento più toccante. Impossibile sintetizzare tutto quello che ho visto e sentito così ho pensato di riportarvi per prima l’esperienza dell’assistente uomo, visto che si è parlato spesso solo di assistenti donne.
Inizia a parlare la mamma di un ragazzo Down: chiede strumenti per comprendere i bisogni sessuali di suo figlio. Lorenzo, l’assistente che lavora in Svizzera, rileva che anche con i disabili mentali si cerca di ascoltare soprattutto il bisogno del diretto interessato. Come? Ascoltandolo, osservandolo. Non si deve proiettare la visione di necessità sessuale che un genitore può avere il proprio figlio. Spesso questi ragazzi vivono diversamente la sfera sessuale, ognuno a modo suo. “Molti atteggiamenti, a noi sconosciuti, eccitano i disabili senza esperienza – spiega Lorenzo – Ad esempio, un mio cliente si eccitava se lo coprivano con dei teli, poi ha smesso di essere violento e ha imparato a masturbarsi”. “I figli si evolvono, per cui bisogna ascoltarli sempre e dialogare per capire se si sta gestendo bene la situazione – continua Lorenzo – Sono molto chiaro sul fatto che mi dedico anima e corpo a questa esperienza, ma rimango sempre un assistente, non sarò mai un innamorato”.
Un’altra mamma torna sulle paure che ruotano intorno a quello che può accadere dopo l’esperienza dell’assistenza. Non sarebbe meglio pensarci lei stessa? “Nella mia esperienza – racconta Lorenzo – la paura ha raramente risvolti nella realtà. I disabili non s’innamorano, anzi, diventano più calmi, più forti e si sentono più belli. L’esperienza sessuale può essere molto diversa da quella a cui noi siamo abituati a pensare. Se il genitore fa le veci dell’assistente sessuale, non ci sarà mai una crescita sana”.
Colpisce l’estrema naturalezza con cui Lorenzo risponde ai genitori e come loro trovino, nei suoi occhi e nella sua voce, risposte sincere.
Il padre di un ragazzo Down racconta di aver trovato una soluzione che “per adesso sembra poter bastare”: “Mio figlio si chiude in bagno, mette il suo cd preferito, si masturba, si pulisce e via. Ha ridotto l’aggressività e i tentativi di toccare le donne. Ma basterà?”. Lorenzo risponde: “Il ragazzo ha trovato da solo il modo per farsi del bene, grazie anche alla vostra apertura mentale di genitori, fatto non molto comune. Quando è arrabbiato, non dovete portarlo a masturbarsi per forza mostrandogli dvd o riviste porno“. Si tratta, per l’assistente sessuale svizzero di qualcosa che porta confusione tra quello che è reale e quello che non lo è. Insomma, la sincerità è l’arma migliore. I disabili psichici sono molto sensibili: se la verità può far male inizialmente, poi però passerà.
Come inizia l’intervento dell’assistente sessuale? “Si deve partire dalla persona – risponde sempre Lorenzo – Se chiamano i genitori, l’assistente prima parla con loro, poi con loro e con il figlio, infine solo con il figlio. Prima della seduta, ci si incontra 2-3 volte a casa dell’assistito. I primi contatti servono per stabilire le regole del “gioco”, anche aspetti banali come la pulizia della persona interessata. Inizia così il percorso che è estremamente soggettivo visto che per insegnare a un disabile a masturbarsi possono volerci più sedute. Ci vuole pazienza da parte di tutti.
Prima dell’intervento dell’assistente sessuale il disabile è un “ADULTO-BAMBINO mentre dopo le sedute è un ADULTO che ha scoperto la sessualità – spiega Lorenzo – La seduta avviene in totale privacy e intimità. A seconda del tipo di disabilità, la semplice operazione di svestizione può durare molto”.
“Tutto quello che noi facciamo normalmente, come andare a cavallo o a teatro, se è fatto da un disabile si trasforma in terapia e diventa ippoterapia o arte-terapia – racconta il professor Cuomo – Non esiste un percorso sulla normalità, esperienze. C’è un assedio terapeutico”.