Chiara Ternullo insieme al marito Pedro Teixeira de Melo ha creato uno studio tra i dieci più promettenti del 2010. In Portogallo la crisi si fa sentire, ma nel Belpaese non tornerebbe. "Ti pagano i diritti dei progetti - spiega - ma la realizzazione è affidata agli 'amici degli amici'"
“Lisbona resiste”. Variano i colori o le vesti grafiche, ma è questo il messaggio che si legge sui muri della Baixa, la città bassa. Quasi una risposta corale al governo di Passos Coelho che, vincolato a doppia mandata ai diktat europei, dopo il prestito da 78 miliardi di euro ricevuto a fine 2011 per evitare la bancarotta, ha condotto una politica di austerity oltre ogni limite: tagli alla spesa pubblica in ogni ramo, aumento delle tasse e, da un giorno all’altro, l’Iva al 23 percento. “Ma si sa, come ha detto pochi giorni fa il ministro dell’economia Vitor Gaspar, se manca la ripresa economica è colpa della pioggia’”, commenta ironica l’architetto Chiara Ternullo, 37 anni, catanese, in pianta stabile a Lisbona dal 2002. I portoghesi sono stanchi di questo governo, anche lei. Ma di rientrare in Italia, nonostante la forte recessione, Ternullo però non ci pensa nemmeno: “Dai miei colleghi e amici arrivano notizie peggiori. Il Portogallo in fondo è stato sempre un Paese in crisi che ha lottato e sa arrangiarsi. Gli italiani invece vengono da un lungo periodo di ricchezza: la verità è che alla prima sofferenza sappiamo solo lamentarci”.
Insomma nonostante un salario minimo di 560 euro, una disoccupazione al 17 per cento, una crescita quasi a zero, un Pil che ha fatto registrare un calo del 3,5 all’anno e una svendita continua del Paese, “a Lisbona si può ancora vivere bene”. Basta farsi un giro, dal quartiere del Barrio Alto fino al più esclusivo Cais do Sodrè, per capire che, tra la moria di negozi e le storiche case in rovina anni Cinquanta, la voglia di socializzare non manca: un caffè costa 65 centesimi, bere una birra con gli amici 1 euro mentre una cena a base di sardinhas (sardine) e a suon di Fado, la musica tradizionale portoghese, non supera mai i 10 euro. L’importante è sapersi regolare: “Con l’aumento dell’Iva c’è stato un grosso cambiamento – spiega l’architetto italiano – I portoghesi, dopo il boom del consumismo degli anni Novanta, sono tornati al supermercato con la lista della spesa per evitare di riempire in carrello di cose inutili. La vita è diventata in fondo più essenziale”.
Per il lavoro poi ci si arrangia, se, come dicono, bastano 900 euro per vivere a modo sulle rive del Tago. Dopo aver messo su uno studio, considerato tra i dieci più promettenti nel 2010, insieme al marito portoghese Pedro Teixeira de Melo, Chiara Ternullo, mamma di due gemelle di 4 anni, non nega certo le difficoltà: “Il lavoro va male, bisogna inventarselo. Ma trovi sempre una maniera per arrotondare: ho degli amici che preparano cene particolari per far quadrare i conti, io invece vendo limoncello fatto in casa”, sorride. Poi ci sono i premi ottenuti coi bandi di gara e i concorsi, anche in Italia. Dalla Sardegna ai piccoli comuni come Ischia, passando per Milano dove lo studio Ternullo-Melo si è classificato al terzo posto al concorso di idee per le architetture di servizio dell’Expo 2015. “Appunto, concorso di idee”, racconta l’architetto amareggiata. “Molti vinti, ma nessuno mai realizzato. Perché in Italia funziona così: prendono l’idea, ti pagano i diritti d’autore ma la realizzazione viene affidata (se affidata) a un’equipe diversa, i soliti amici degli amici. Una cosa del genere, per la cronaca, non esiste da nessun’altra parte al mondo. È una lotta contro i mulini al vento”.
Lo studio, che è stato appena scelto dal Maxxi di Roma per un’esposizione dedicata agli architetti italiani in Europa, in mostra con Renzo Piano e Lina Bo Bardi, sull’Expo di Milano è critico: “Ci ho creduto, tant’è che ho partecipato a entrambi i concorsi. Ma oggi penso sia un’occasione persa. Un progetto preliminare folle con fiumi di denaro pubblico solo per redigere i testi di motivazione”. Il pensiero allora non può che andare all’Expo 98, prototipo per la riqualificazione di quella fascia costiera semi-abbandonata che sta tra il ponte più lungo d’Europa, il Vasco de Gama, e la Baixa. “Adesso è un quartiere cittadino moderno, dedicato al turismo e al business delle nuove generazioni”, racconta l’architetto che in quegli anni, da studentessa universitaria, a Lisbona era arrivata per la prima volta richiamata proprio dalle nuove costruzioni. “Non so se a Milano riusciranno a fare lo stesso: il progetto pare non rispetti nulla di quello che chiedevano, la speculazione edilizia è già cominciata e i prezzi sono alle stelle. Mi sembra una battaglia già persa. Senza contare che quello che rimarrà ai cittadini rischia di essere un flop”.