Dematerializzazione dei documenti? Forse si.
E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri 21 Marzo del 2013 che disciplina i documenti analogici originali unici.
La questione solleva “non poche perplessità”, come acutamente osserva l’Anorc, l’Associazione nazionale per operatori e responsabili della conservazione sostitutiva.
Prima del recente decreto vigevano due obblighi generali, quello alla conservazione del documento originale analogico unico e, in caso di conservazione sostitutiva, quello di autenticazione da parte di un notaio o di un altro pubblico ufficiale che garantisse la conformità all’originale cartaceo (art.22 comma 6 del Codice dell’Amministrazione Digitale);
Con la nuova normativa vengono meno tali obblighi di conservazione grazie ad una distinzione per specifiche tipologie documentali, tracciate in virtù di “esigenze di natura pubblicistica”.
Il decreto, dunque, è un passo significativo verso la tanto auspicata dematerializzazione, importante tanto sotto il profilo culturale quanto per le ricadute di ordine pratico.
Ma è davvero un addio alla carta? Si, ma con anomalie, asimmetrie e riserve.
Sostanzialmente sono due le categorie previste dal decreto: i documenti che possono essere digitalizzati e quelli che rimangono su carta, sempre e comunque.
Al primo tipo vengono ricondotti quei documenti la cui conformità (in caso di conservazione sostitutiva) debba essere autenticata da un notaio o da altro ufficiale a ciò autorizzato con dichiarazione di questi apposta e firmata digitalmente. Tra gli altri, i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, i decreti ministeriali, gli atti amministrativi sotto forma di decreto del Capo dello Stato, i titoli di debito pubblico, i decreti dirigenziali e direttoriali, gli atti soggetti a segretezza ed a segreto di Stato o di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Nel secondo tipo – i documenti cioè sui quali permane sempre e comunque l’obbligo alla conservazione dell’originale cartaceo – rientrano gli atti giudiziari, processuali e di polizia giudiziaria per i venti anni successivi, le opere d’arte, i documenti di valore storico artistico, i documenti conservati negli archivi, nelle biblioteche e nelle discoteche di Stato, gli atti conservati presso gli archivi notarili e, infine, gli atti notarili stessi.
Ecco il primo nodo.
Il legislatore stabilisce oggi che gli atti notarili (e gli atti conservati presso gli archivi notarili) debbano rimanere cartacei, sempre e comunque.
Ma è stato lo stesso legislatore ad aver stabilito, sin dal 2010, la stipula di atti notarili in formato digitale.
Infatti, il decreto legislativo 110/2010 “Disposizioni in materia di atto pubblico informatico redatto dal notaio” aveva già introdotto, con disposizioni di dettaglio, l’atto notarile informatico, firmato digitalmente.
In attuazione della delega in materia di ordinamento del notariato, era stata già prevista la redazione di atti pubblici in formato elettronico, nonché la sottoscrizione dei medesimi atti o delle scritture private con firma digitale.
Con atto notarile informatico si può quindi già procedere all’acquisto di una casa, a svolgere le pratiche per un mutuo o a costituire una società.
A ciò si aggiunga che dal primo gennaio di quest’anno, gli appalti pubblici possono essere redatti solo con atto pubblico notarile informatico.
Un’anomalia che sa di svista e di incomprensibile arretramento cui si accompagna l’asimmetria di veder digitalizzati i documenti sui segreti di Stato ma non quelli notarili.
Singolare appare, poi, quella sorta di “clausola di salvaguardia” contenuta nel decreto: “resta ferma la facoltà per le pubbliche amministrazioni di conservare in originale analogico unico documenti diversi da quelli oggetto del presente decreto”.
Dematerializzazione dei documenti? Forse si, ma con calma e gesso.