Nomine società partecipate, la strana linea Letta-Saccomanni
C’è un campo in cui il governo è ancora sovrano, libero dai vincoli esterni europei e dalle frizioni interne alla maggioranza: quello delle nomine nelle società partecipate dallo Stato. Il 29 maggio, il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ha rinviato le decisioni su Finmeccanica perché “ci servono criteri e procedure trasparenti e comprensibili. Per questo serve qualche settimana in più”. Lodevole impegno: meglio fissare una volta per tutte delle procedure chiare per scegliere i vertici di Eni, Enel, Finmeccanica, Ferrovie dello Stato, Poste.
Vedremo come finirà, per ora il processo decisionale seguito appare singolare: il Tesoro è l’azionista di controllo di queste società (a volte direttamente, a volte tramite Cassa depositi e prestiti). Potrebbe fissare in autonomia parametri precisi – esperienza nel settore, risultati raggiunti, selezione tramite una società di cacciatori di teste – e procedere alle nomine. Invece, par di capire, la questione si è spostata in Parlamento: Pd e Pdl stanno cercando la convergenza sulla cosiddetta “mozione Tomaselli” che poi sarà la base per la fissazione dei criteri da parte del governo. Nel progetto originario la “mozione Tomaselli” prevedeva un limite di mandati, tre, e di età, 70 anni.
La prima bozza si limitava a suggerire al governo di fissare un tetto alla rinnovabilità delle cariche e all’anzianità del manager. Nell’ultima versione anche questo blando vincolo è scomparso, su richiesta dei manager interessati, come ammettono i parlamentari coinvolti. Avanti dunque con gli ottuagenari e con le cariche eterne, quelle che fanno sentire gli amministratori delegati padroni di aziende che, è bene ricordarlo, sono in realtà nostre, in quanto cittadini , e degli altri azionisti privati, quando ci sono. Una volta approvata la mozione, il governo dovrebbe procedere a creare un comitato di “garanti” che assicurerà la correttezza della nomina, secondo la recente moda del “no saggi, no party”. Ma qualche strato di burocrazia in più non garantisce risultati migliori.
Se Enrico Letta e Saccomanni lo volessero, potrebbero cambiare i manager, cercare sul mercato italiano qualcuno che sia davvero fuori dalle logiche del capitalismo di relazione, che non abbia amici o salotti o consorterie da compiacere ma che pensi solo alla salute dell’azienda e a quella degli azionisti. L’ultima parola spetta sempre all’azionista di controllo, cioè al Tesoro, a prescindere da quanti saggi saranno coinvolti, quante mozioni approvate e quali filtri regolatori elaborati. Il premier e il suo ministro dell’Economia saranno giudicati dai risultati, non dal metodo. Mario Monti non ha mai voluto affrontare il nodo Finmeccanica, per esempio, accampando varie giustificazioni. Anche Letta per ora sta prendendo tempo. Ma ha ancora la possibilità di dimostrare di essere più decisionista.
@stefanofeltri
Il Fatto Quotidiano, 20 Giugno 2013