Il 19 giugno 2013, dopo anni di non proprio onorato servizio, chiude i battenti, per delibera unanime del suo Consiglio di amministrazione, la Exodus International, potente organizzazione americana di ispirazione cristiana dedita alla cura delle persone omosessuali.
Le cure che l’associazione proponeva sono ben note, e in linguaggio medico si chiamano teorie riparative. Si sostiene che dall’omosessualità si possa uscire, o che comunque essa possa essere in qualche modo curata o rimediata, attraverso un percorso religioso di riflessione, preghiera e in ultima analisi conversione. Ci si concentra sulle parole dell’Antico Testamento, del Levitico per la precisione, che sanzionano – tra l’altro con la pena di morte, a voler ben vedere – il fatto di un uomo che “giace” con un altro uomo. Forse non c’è altro precetto biblico che abbia cagionato tanta sofferenza e discriminazione lungo i secoli.
Il Presidente di Exodus Alan Chambers si è ufficialmente scusato con l’intera Comunità LGBT per l’infinità di “storie di vergogna, violenze sessuali e false speranze” vissute da coloro che, spesso convinti dalle loro famiglie, sono entrati in Exodus, per poi uscirne, spiega Chamber, “solo con un trauma in più”. Lo stesso Chambers oggi si dichiara omosessuale e si accetta così com’è. “Mi dispiace”, dice Chambers, “che molti abbiano interpretato quello che è un rifiuto religioso da parte di cristiani come se venisse da Dio”. Chambers conclude il suo messaggio giurando di dedicare la sua vita “alla pace e al bene comune”.
La vicenda porta a riflettere non tanto sull’autenticità del messaggio biblico, sulla quale molti cristiani (o sedicenti tali) non sono disposti a discutere, quanto piuttosto sulla sua compatibilità con l’amore verso il prossimo. Lo scontro, è il caso di dirlo, è “biblico”. La dottrina rigida e brutale contro l’amore concreto e solidale. La parola fredda e priva di sentimento contro il sentimento vero dell’amore reciproco. La verità, spesso imposta, contro la persona. La tradizione contro la concretezza.
Non c’è possibilità di compromesso tra queste due visioni del mondo se non ammettendo che ogni cristiano ha un fratello e una sorella omosessuali e che l’omosessualità è una caratteristica personale che ha una sua dignità nel disegno di Dio esattamente al pari dell’eterosessualità.
Non c’è niente da curare, niente per cui pregare. L’unica cosa per cui pregare, piuttosto, è che ogni cristiano realizzi, nel profondo della propria coscienza, che è suo dovere non disprezzare, discriminare, rifiutare, ma accettare ed amare.
Certo, alcuni cristiani abituati alla cruda propaganda della Chiesa e di una certa politica, risponderanno che tutto ciò è difficile, o quantomeno più facile a dirsi che a farsi. Quel che è certo è che se esiste un Dio e se vi sarà un giudizio universale, tutti noi verremo giudicati non certo in base al modo con cui, in vita, avremo disprezzato, discriminato o rifiutato.