Solo poche settimane fa, almeno una tonnellata di petrolio, fuoriuscito dal petrolchimico dell’Eni e finito nelle acque del mare di Gela aveva fatto temere il peggio. Ma il disastro ambientale, sfiorato per l’ennesima volta, non sembra affatto scoraggiare i progetti del cane a sei zampe nel Canale di Sicilia.

Adesso infatti l’Eni, insieme al partner francese Edison, vuole raddoppiare la piattaforma petrolifera “Vega A” (la più grande offshore d’Italia), presente dal 1987 a largo di Pozzallo (Ragusa) e per le cui attività sei persone, tra cui tre ex dirigenti Edison, sono attualmente sotto processo per illecito profitto dovuto allo smaltimento di rifiuti pericolosi. A breve dunque, a sei chilometri dalla “Vega A” potrebbe essere installata la “Vega B”. Il progetto è ancora in attesa del parere della Commissione di Valutazione di impatto ambientale, ma non dovrebbe incontrare alcun ostacolo, anche perché il via libera lo aveva già dato nell’84 il ministero dell’Industria. La piattaforma satellite permetterebbe così al tandem Edison-Eni di aumentare la capacità produttiva di greggio (da raffinare ovviamente nello stabilimento gelese dell’Eni, portandola fino a 8500 barili al giorno. Ma la presenza di diverse faglie sottomarine tra le due piattaforme non fa stare tranquilli. Se a ciò si aggiunge che “Vega B” non verrà presidiata, ma telecontrollata dalla piattaforma madre, i timori della popolazione locale e delle associazioni ambientaliste, legati ad un eventuale sversamento non avvistato tempestivamente, appaiono più che comprensibili.

E la “colonizzazione” della costa meridionale della Sicilia, in nome dell’oro nero, non si ferma qui. Ad aprile Eni ha infatti presentato alla Commissione Valutazione Impatto Ambientale (VIA) del ministero dell’Ambiente lo studio di impatto ambientale (SIA) per il “Vela 1”: un pozzo esplorativo a più di 700 metri di profondità e a circa 19 miglia al largo delle coste di Licata (in provincia di Agrigento). Siamo sempre nell’area della raffineria di Gela. Un progetto, anche questo, che suscita molta preoccupazione tra i cittadini, le associazioni ambientaliste e l’assessorato all’Ambiente della Regione Sicilia.

Nel suo studio Eni “minimizza i rischi – dichiara Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace – E’ inaccettabile che non venga presa in considerazione l’eventualità di un incidente grave”. E’, peraltro, la stessa compagnia petrolifera a far sapere che “nelle serie stratigrafiche che il pozzo attraverserà sono presenti sovrappressioni”; motivo per cui “lo scenario del blowout – prosegue Giorgia Monti – e cioè un aumento di pressione nel pozzo, per capirci quello che è successo per la Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, non è escludibile. La fase di esplorazione è infatti la più pericolosa, non sai mai bene cosa puoi incontrare”. Quella, inoltre, è un’area di fondamentale importanza per la pesca e le eventuali emissioni di metano avrebbero ad esempio “conseguenze catastrofiche per lo stock dell’acciuga”.

“Lo studio non minimizza i rischi collegati all’opera – risponde l’Eni, contatta da ilfattoquotidiano.it – Abbiamo valutato tutti gli impatti possibili ed escludiamo la possibilità che si verifichino incidenti rilevanti. Nel raggio di circa 20 chilometri abbiamo già realizzato altri 5 pozzi, abbiamo perciò un’ottima conoscenza delle caratteristiche geologiche e di pressione dell’area in cui verrebbe perforato il pozzo Vela 1 – sottolinea Eni – E le pressioni anche se elevate, quando conosciute, sono controllabili”. Quale sarà allora l’impianto utilizzato per la perforazione del pozzo? Questo ancora “è da definire – fa sapere l’azienda guidata da Paolo Scaroni –. Se e quando ci saranno le autorizzazioni alla perforazione, verrà individuata la nave che potrà effettuare la perforazione”. Insomma, “si chiede di autorizzare il progetto – fa notare la responsabile della campagna Mare di Greenpeace – senza specificare l’impianto che dovrà garantirne l’esecuzione”.

Non è finita, perché Eni vorrebbe trivellare anche a largo delle coste di Gela, proprio davanti il petrolchimico. Lo scorso mese sono state infatti depositate al ministero dell’Ambiente le richieste per avviare due progetti di ricerca per idrocarburi. “Si tratta di un vero e proprio assedio alla costa siciliana”, conclude Giorgia Monti.

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