Ieri ho finalmente capito quale sia il minimo comune denominatore tra Chiesa, Stato e Mafia: l’omertà. Semplice, chiara ed estremamente compattante, questa parolina racchiude in sé l’elisir d’eterna giovinezza per qualsiasi macroentità che debba garantire la sua sopravvivenza negli anni.
Se per quel che concerne la mafia e lo Stato (in questo caso l’omerta’ scavalla addirittura il confine dei due insiemi e permette loro di abbracciarsi stretti stretti nel vorticoso valzer delle trattative) siamo cresciuti all’ombra delle tacite intese e abbiamo introiettato il concetto che il silenzio è endemico al potere, sulla faccenda della Chiesa ci permettiamo ancora – viziati dalla favola che quello sia il luogo a cui appellarci per trovare la purezza – qualche rimasuglio di stupore.
Quel che meraviglia maggiormente nei molteplici scandali sessuali in cui è incorsa la Curia, non è tanto la deviazione dei singoli sacerdoti quanto la connivenza e il benestare degli alti vertici a favore del buon nome della Chiesa. “Il buon nome, mio caro signore, sia per l’uomo che per la donna, è la gemma più preziosa dell’anima”, diceva Iago al povero Otello, il quale di lì a poco, nel nome del buon nome, avrebbe assassinato l’innocente Desdemona. Ugualmente la Chiesa, nel tentativo di preservare il suo buon nome, nega, occulta, si autoassolve e, così facendo, concima le sue terre con fertilizzanti tossici, destinandole inevitabilmente ad un raccolto avariato.
Ed ecco a noi la Chiesa Geneticamente Modificata. I sacerdoti pedofili, a cui i vescovi incaricati pongono rimedio col trasferimento di diocesi, infatti, sembrano il negativo dell’evangelizzazione: invece della parola di Dio ad essere diffuso è l’errore dell’uomo. La soluzione del trasferimento appare impulsiva, inopportuna e scoordinata, come tutte le scelte fatte sulla fretta di salvare la faccia, ma ancor più basisce l’arbitrarietà del codice morale che sottointende una scelta di questo tipo: non denunciando, non punendo, non prendendo le distanze da atti simili, la Chiesa cataloga implicitamente la pedofilia come una colpa minore.
Quella stessa Chiesa il cui anacronismo etico-morale non finisce di sorprenderci nella sua chiusura di fronte ad insindacabili libertà civili ed umane, per dispetto si mostra indulgente e di manica larga davanti all’abuso su chi non ha strumenti per difendersi. A riguardo trovo esplicativo il commento che il cardinale Castrillon Hoyos, allora prefetto della Congregazione per il Clero, fece riguardo la condanna a tre mesi di Monsignor Picon, il quale si era rifiutato di denunciare alla magistratura un suo sacerdote che aveva reiteratamente commesso abusi su minori: “Ha agito bene, mi rallegro di avere un confratello nell’episcopato che, agli occhi della storia e di tutti gli altri vescovi del mondo, avrà preferito la prigione piuttosto che denunciare un prete della sua diocesi”. Il portavoce della Santa Sede Lombardi prese poi le distanze da questa dichiarazione, eppure dalla tracotanza, per nulla elusiva, del dettame comportamentale racchiuso nelle parole di Castrillon Hoyos si evince il fil rouge del cameratismo omertoso che scorre nelle vene curiali.
Forse questa ineluttabilità condivisiva era già chiara a Giovanni Falcone quando disse “Entrare a far parte della mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di essere preti. Né mafiosi.”. Qualunque cosa accada. A meno che, dopo aver anelato per anni spiegazioni, una richiesta di scuse, una virata comportamentale che ci facesse sentire meno traditi e meno smarriti dall’entropia morale di chi avrebbe dovuto farci da guida, un certo Francesco non arrivi a piedi dalla fine del mondo per rompere il silenzio e restituirci una Chiesa Bio.