Mondo

Brasile, Turchia. Le rivolte che il Sistema vuole

Molti mi scrivono: “Simone, guarda cosa sta succedendo in Turchia, in Brasile… il mondo sta cambiando!” Io ho una lieve fitta allo stomaco. So che (purtroppo) non è così.

Le masse subiscono. Se alzano la testa sporadicamente è solo per un moto di ribellione temporaneo, quasi esclusivamente dettato dall’indigenza, o dalla metafora periodica che la rappresenta. Se di vera e potente ribellione si tratta, qualche potere forte farà solo finta di abbozzare, poi troverà il modo di pilotare la rivolta. I violenti saliranno sul carro, ci saranno vittime, molti si indigneranno, qualcuno esulterà. Ma non accadrà che poco, talvolta nulla, perché quelle ribellioni sono intrinseche al Sistema che ne governa i disagi. Chi si ribella non sta cambiando, non è diverso da chi esultava poco tempo fa.

Se circolasse denaro, se ci fosse la “ripresa”, se tutti fossero impegnati a lavorare e comprare, a godersi denaro e passatempi distraenti, ogni vessazione, ogni coercizione, o quasi, verrebbe tollerata. L’unica ribellione che mi farebbe sperare, è quella individuale, interiore, silenziosa e per questo temibile e tagliente. Quella dei comportamenti, delle responsabilità individuali caricate sulle nostre spalle. Il mondo cambia se gli uomini cambiano, e non il contrario.

La Storia si ripete, dunque. Almeno per quanto riguarda i grandi movimenti, i macro fenomeni sociali. E tuttavia, seppure impercettibilmente, qualcosa forse sta cambiando. Qualcosa che (naturalmente) non finisce sulle pagine della cronaca, ed è chiaro il perché: ad alcuni giornalisti sembra poca cosa, una non-notizia, e ad altri invece fa paura, ne comprende il peso eversivo. Nelle migliaia di lettere e post che ricevo c’è il virgulto di una nuova umanità, di cui è bene non parlare troppo: gente che ha deciso, sotto la propria responsabilità, di smettere di lamentarsi e agire, progettare la propria nuova vita, non assoggettarsi alle regole comuni, non accettare schiavitù imposte da sistemi economici e da consuetudini che (quelle sì) ognuno può sovvertire individualmente. Persone comuni che hanno deciso di riscrivere regole adatte alla propria vita, e tentano di metterle in pratica. Sono le migliaia di coabitatori, autoproduttori, sono quelli delle transition town, del downshifting, del cambiamento, della fuga dal consumismo. Quelli della libertà.

E’ questa la rivoluzione silenziosa che comincio a osservare. La più potente, la più terribile per il Potere. L’unica che può davvero essere temuta. E il momento è adesso: diciamo tanti “no” e subito dopo tanti “sì”, ma a qualcosa che ci metta al riparo dal lavoro come schiavitù, dal denaro come unico metro, dal consumo come esclusivo passatempo, dallo spreco come quotidiana degenerazione morale. Non passiamo il tempo come vuole il Sistema, nei luoghi in cui il Sistema spera che viviamo, con le persone che sceglie per noi. Facciamo poco, quel che serve per noi, e facciamolo con poco, troppo poco per chi ci eterodirige. L’avversario contro cui manifestare non è là fuori, non è il Potere. E’ dentro, qui. Siamo noi.

Non è il momento delle rivoluzioni di piazza. E’ troppo facile reprimerle, deviarle. Questo è il momento per cambiare la nostra vita di individui. Basta sprecare; basta consumare inutilmente; basta sfruttare senza autoprodurre; basta buttare via il tempo in modo insensato; basta farsi guidare. Facciamo progetti, ora, adesso, capaci di cambiare la nostra vita. Usciamo dal target commerciale in cui ci hanno clusterizzati, in cui sperano che restiamo a vita, come marionette funzionali al consumo inessenziale. C’è così tanto da fare, con conseguenze così terribili per il Sistema che ci governa. Facciamolo. Adesso.