Per sedare l'ondata di proteste, il presidente brasiliano ha assicurato alla popolazione che arriveranno schiere di medici e professionisti dall'estero per venire incontro alle loro richieste di equità sociale. Ma è un bluff: il piano era pronto da sei mesi e punta a far crescere il Paese in settori strategici per l'economia mondiale
E’ con l’annuncio di una massiccia ‘importazione’ di medici dall’estero fatto dalla presidente brasiliana Dilma Rousseff che emerge, con rilievo istituzionale, tutta la difficoltà del Brasile in tema di formazione. Inserito come uno degli interventi governativi offerto in risposta all’ondata di proteste che ha investito il Paese, però, il piano di assunzioni di medici e infermieri stranieri era già in programma mesi prima dell’annuncio fatto venerdì sera a reti unificate dalla presidente per placare gli animi dei manifestanti.
Lo scorso aprile le autorità di Brasilia si erano mosse per facilitare e favorire un maggiore arrivo di professionisti di alta qualificazione per sopperire alle carenze soprattutto nel campo della sanità e della tecnologia. Si tratta di ben 6 milioni di lavoratori da ‘attrarre’ nell’arco temporale di un paio di decadi, almeno stando a quanto stimato dalla Secretaria de Assuntos Estratégicos, il ministero dedicato della pianificazione strategica. A spingere verso questa soluzione è la scarsità (presente e in prospettiva) di medici, ingegneri e tecnici specializzati nell’estrazione del petrolio e nel settore chimico collegato. Quello stesso petrolio con i cui proventi la presidenta ha riferito di voler finanziare gli incentivi all’istruzione. Un modo opportunista per mettere a sistema utilità e opportunità politica, anche nel settore strategico delle energie.
La caccia ai ‘cervelli in fuga’ messa in campo della Sae nel mese di aprile aveva già in previsione la presentazione di un piano definitivo entro la fine di giugno. Ed ora ecco l’annuncio. Fuori dall’opportunismo politico, il dover ricorrere all’estero per carenza di specializzazione, mostra il realismo dei temi invocati dai manifestanti scesi in strada per rivendicare miglioramenti degli standard di vita: soprattutto educazione e salute, legate tra loro a doppio filo. La qualità dell’offerta delle università brasiliane è molto al di sotto del livello auspicabile per un Paese che punta a diventare potenza internazionale. Il sistema della sanità poi, molto orientato verso il privato, è carente quanto a investimenti nel pubblico, e tende a fagocitare i medici attirati dai maggiori guadagni in cliniche e ospedali privati. Il che provoca una corto circuito preoccupante. Tanto da non garantire il diritto alla salute dei più poveri che non possono accedere alle costosissime cure.
Che formazione, sanità e infrastrutture, rappresentino talloni d’Achille per la crescita verso la modernità del Brasile non è certo un dato nuovo. Il vero problema è che la velocità di crescita economica del Pese in valore assoluto non va di pari passo con una redistribuzione delle risorse verso un miglioramento dell’offerta universitaria e, in misura forse maggiore, per le scuole superiori. Gli istituti statali gratuiti mostrano standard estremamente bassi secondo i canoni internazionali, e quelli privati non sono, ovviamente, per tutti. Gli atenei dal canto loro, pur gratuiti, sono fortemente in difficoltà soprattutto nei settori tecnologici, aree di interesse strategico adesso, che però non lo sono stati per lungo tempo, causando negli anni un livellamento verso il basso dei servizi offerti. Un effetto che ha anche significato una carenza infrastrutturale che in alcune aree risulta quasi drammatica e che impedisce spesso anche la pianificazione sia di un incentivo all’industria brasiliana, molto debole, sia per le stesse esportazioni di materie prime e alimentari delle quali il Brasile è ai primi posti nel mondo. La carenze strutturali facilitano tra l’altro gli investimenti diretti esteri, che non favoriscono ricadute positive sul territorio.