Ola ha 8 anni, vive a Bab el Tabanek un quartiere salafita di Tripoli. Circa sei mei fa il fratello maggiore la portò per la prima volta in strada durante gli scontri a fuoco con i loro vicini di casa, gli abitanti sciiti del quartiere di Jabel Moshen. La bambina che spara con il mitra è diventata un simbolo per gli jihadisti locali: “Sparo peché mi piace farlo, non ci sono altri bambini, ma non c’è bisogno di essere grandi”. Poi continua, mentre inserisce a fatica le pallottole nel caricatore: “Vado a scuola, ma quando ci sono le sparatorie è impossibile arrivarci, troppo pericoloso”. La madre fiera della sua bimba combattente le fa eco: “La prima volta che ha sparato in strada, non me l’hanno detto, non sarei stata d’accordo. Adesso ci accusano di aver dato un fucile in mano a una bambina, ma la verità è che qui con la violenza ci conviviamo tutti i giorni”. Ola interrompe: “Come quando hanno ucciso Mohammed” un amico del fratello, colpito da un cecchino alla testa davanti al loro palazzo. “Gli hanno sparato in testa, gli è esploso il cranio – spiega la madre – il corpo è rimasto per strada a lungo prima che potesse essere recuperato. Ola come tutti i bambini ha visto tutto!”. Si chiama Siria la strada che divide i due quartieri in lotta fra loro. In alto sulla collina ci sono gli sciiti, della setta alawita, la stessa di Bashar al-Assad, mentre in basso vivono le famiglie sunnite, che sono la maggioranza della popolazione cittadina. Gli scontri hanno cadenza settimanale, solitamente uno o più cecchini sparano dalla collina verso il quartiere di Bal el Tabanek , dal quale arrivano senza sosta raffiche di kalasnikov. Lo scontro ha assunto un valore religioso, infatti i leader sunniti ripetono che gli sciiti sono eretici e per questo contro di loro si deve combattere una guerra santa. Come sta avvenendo in Siria, dove le bandiere nere, rappresentanti la furia dell’Islam jihadista, accettano gli aiuti militari di Europa e Usa contro le forze lealiste di Assad e di Hezbollah di Cosimo Caridi
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