Il countdown è iniziato. Il 27 giugno scade l’accordo di programma per il futuro del Cerba, il Centro europeo di ricerca biomedica di Umberto Veronesi che dovrebbe sorgere nel Parco agricolo Sud di Milano. Entro quella data o si trova un accordo fra Comune e banche creditrici (che hanno rilevato l’area dopo il crack delle società della famiglia Ligresti) o i terreni torneranno di nuovo liberi. Le posizioni sono lontane per tre ragioni:
1) Costruire un mega centro commerciale di oltre 8 mila metri quadrati.
2) Trasformare in housing sociale le residenze previste per medici, infermieri e pazienti dell’ospedale.
3) Un forte sconto sugli oneri di urbanizzazione dovuti al Comune.
Questo braccio di ferro determina due ragionamenti, uno urbanistico l’altro etico, che hanno valore universale.
Il futuro delle città. Dal 2003 al 2013 a Milano le famiglie residenti sono aumentate dell’1%, l’area edificata del 5%. Dunque, si costruisce per chi? Non bastano le difficoltà di CityLife, i fallimenti delle imprese edili in Porta Nuova Isola, i palazzoni vuoti in zona Gioia (l’ex sede Inps e la Torre Galfa)… Quanti altri milioni di metri cubi dovremo veder costruire prima di renderci conto che siamo dentro una clamorosa bolla immobiliare?
Il rischio d’impresa. Se investono in un progetto che fallisce, risparmiatori e imprese perdono i propri soldi. Perché, invece, le banche devono essere dispensate da questo elementare principio di mercato? Una cordata di banche (in primis Unicredit e Bpm) hanno prestato 340 milioni di euro a un soggetto poco trasparente come Salvatore Ligresti. Hanno rischiato e hanno perso perché il debitore è fallito. Adesso si chiede al Comune di rientrare dal debito grazie a una speculazione edilizia. Ma perché il pubblico deve sempre rimediare gli errori altrui? Un semplice bancario che concede un nuovo prestito a chi ha tanti debiti verrebbe licenziato; perché non succede lo stesso ai banchieri, e cioè a chi ha autorizzato quei (troppi) fidi a Salvatore Ligresti?
FAI, WWF e Legambiente hanno firmato un appello al Comune. Chiedono di autorizzare il Cerba ma al contempo di difendere il patrimonio del verde agricolo dicendo no a centri commerciali e palazzi inutili. Magari costruendo il centro di ricerca altrove.