Dal 22 giugno al 31 agosto 2013, la Biblioteca Panizzi offre l'opportunità di visitare una parte del patrimonio personale del regista originario di Luzzara (Re). Lettere, foto e documenti inediti che ricostruiscono pezzi della sua vita intellettuale
“Senta Andreotti, devo dirle una cosa. Guardi che non intendo offenderla ma gliela devo dire. Lei ha voluto sgarrettare il cinema italiano e c’è riuscito”. Questa la celebre frase che Cesare Zavattini pronunciò incontrando il Divo a Roma a metà anni sessanta. Una ramanzina senza mezzi termini per rispondere di persona al sottosegretario Dc che nel primo dopoguerra aveva liquidato il neorealismo dicendo che “i panni sporchi si lavano in famiglia”.
Storico aneddoto dell’eloquio diretto di uno dei padri del cinema italiano, nonché una delle infinite testimonianze che sono raccolte tra le carte, le foto e i documenti d’archivio ospitati dalla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, dal 22 giugno al 31 agosto 2013 per la mostra, curata da Giorgio Boccolari e Roberta Ferri, dal titolo: “Cesare Zavattini – l’itinerario artistico di un travolgente autore attraverso i documenti del suo archivio”.
A un anno dalla donazione dell’Archivio di Cesare Zavattini al Comune di Reggio Emilia, la Biblioteca Panizzi ripercorre l’itinerario artistico e intellettuale di una straordinaria figura del novecento attraverso l’esposizione di una parte delle migliaia di documenti di cui si compone il fondo archivistico, di eccezionale valore artistico, civile e culturale.
Il luzzarese Zavattini, nato nel 1902 e morto a Roma 87 anni dopo, è stato scrittore e critico letterario, poeta e commediografo, giornalista, redattore e direttore di giornali e riviste, organizzatore culturale, pittore, collezionista e critico d’arte, creatore di soggetti per il cinema, per i fumetti e i fotoromanzi, sceneggiatore e, almeno in un’occasione, regista cinematografico, oltre che intrattenitore radiofonico e sperimentatore di un utilizzo non istituzionale della televisione.
A testimonianza di oltre sessant’anni di attività artistica e di impegno intellettuale, i documenti dell’archivio riflettono il suo multiforme impegno, da intellettuale organico d’altri tempi: diari, annotazioni, spunti, idee e progetti che non riuscì a realizzare, o di opere portate a compimento con svariate versioni, e soprattutto foto d’epoca che lo ritraggono in amichevole compagnia con Fidel Castro, Oriana Fallaci, il presidente egiziano Nasser, Pablo Picasso e ancora gli amici storici come Vittorio De Sica, Federico Fellini, Domenico Modugno.
Curioso l’episodio in cui Zavattini incontra il leader maximo. Basco nero e occhialetti tondi, più simile a un socialista di pensiero come Pietro Nenni che a uno d’azione come Che Guevara, il regista arriva a L’Avana nel dicembre 1959 per conto dell’Istituto del Cinema italiano che con i giovani cineasti cubani voleva intraprendere una collaborazione per diversi progetti: “Mi ritrovavo nel cuore di una rivoluzione vittoriosa. Una favola, addirittura, di un gruppetto di uomini che aveva abbattuto un regime che aveva alle spalle nientemeno che l’America”. Lo sceneggiatore neorealista di “Miracolo a Milano” incontrò Castro in un ristorante: “Ero eccitatissimo, incontrai un eroe, davvero. Fidel sembrava Garibaldi”.