L’operazione che in queste ore ha preso nelle home page il posto della sentenza di Milano potrebbe essere definita “un fulmine a ciel sereno” solo stabilendo un nuovo record mondiale di ipocrisia. Mentre scrivo, sento il Direttore Sportivo di una società di Serie B, peraltro non coinvolta nelle perquisizioni, dichiararsi “sorpreso”. Col massimo rispetto per tutti e per le loro opinioni, mi par davvero troppo. Se però leggendo i primi resoconti non riuscite a collegare lo “scouting” con l’associazione a delinquere e i diritti di immagine col riciclaggio non abbattetevi, è del tutto legittimo e normale. Non arrendetevi però a queste difficoltà, cercate di capire, formatevi un’opinione con la conoscenza. Resistete alla voglia di dire “è tutto uno schifo” per difficile che sia (e lo è molto). Da cittadini, prima che da sportivi, dobbiamo documentarci per non cedere a quella pigrizia che troppo spesso sconfina nell’omertà.

Sarebbe facile segnalare le avvisaglie (anche in ambiti diversi dal calcio) che rendono la sorpresa di cui sopra troppo ingenua per non essere indifendibile. Ma non sarà la classica gara del giorno dopo a chi lo sapeva più, prima e meglio degli altri a portarci lontano. Meglio ragionare di fatti e numeri. Secondo una ricerca diffusa da Visa, l’economia sommersa in Italia nel 2013 ha un valore stimato a 333 miliardi, pari al 21% del Pil. L’Italia figura al terzo posto nel vecchio continente dopo Turchia (27%) e Grecia (24%), se si esclude la parte orientale dell’Europa, dove si arriva al 31% della Bulgaria e al 28% di Croazia, Lituania ed Estonia. Se avrete la pazienza di seguire l’attività degli inquirenti, troverete certamente la maniera di capire come l’ennesima “Calciopoli” (rectius “Sportopoli”) della serie si inserisca perfettamente nel solco disegnato dai dati di cui sopra. E come soprattutto sia solo uno spin-off del serial “Italiopoli”, le cui repliche vanno in onda da oltre un secolo.

Il che non significa che prima o poi non possa, anzi debba, passare sullo schermo la parola “fine”. Per ora però vedremo le prossime puntate, fatte di altre vesti strappate, di velate minacce di chiamate in correità, di “così fan tutti da sempre” e di “lui è peggio di me”. Tutte cose parzialmente vere nonché, per lo stesso motivo, false. E che soprattutto non rappresentano esimenti od attenuanti. Si passerà poi alla fase del “se anche lo facevo, lo facevo per la maglia”, dove a maglia potete sostituire “tifosi”, “appassionati”, “passione”, ecc. E se non basterà, vi faranno discretamente capire che se saltano questi meccanismi poi in tanti perderanno il lavoro, e sarebbe un vero peccato (se vi ricorda qualcosa siamo in due).

Se anche a voi (come al grande Vianello d’antan) viene da dire “che noia, che barba”, proviamo a prendere la palla al balzo. Quando arrivano i medici (che abbiano le Fiamme Gialle o la Toga) il malato è già allo stadio terminale. E non saranno i pannicelli caldi a tenerlo in vita. Raccontiamoci come stavano le cose con precisione e rigore, con pazienza e attenzione. Non però per alzare polveroni e riempire calderoni in cui tutti alla fine risultano uguali (tutti colpevoli=tutti innocenti). E neppure per gioire dei guai di un nemico o proteggere un amico. Ma solo per disegnare un nuovo modello di business, che è certamente possibile in un paese che ha grande fame di sport e merita qualcosa di meglio della solita zuppa. 

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