Lodo Mondadori, fase finale. Quella civile per Silvio Berlusconi – con Fininvest condannata dai giudici a sborsare oltre 560 milioni di euro – perché dal processo penale il Cavaliere era uscito prescritto in secondo grado grazie alla rimodulazione dell’accusa da corruzione in atti giudiziari in corruzione semplice e la concessione delle attenuanti generiche.
Si aprirà giovedì 27 giugno in Cassazione l’ultimo capitolo della lunghissima vicenda della cosidetta guerra di Segrate, caso giudiziario che quasi due anni fa a Milano si è definito, nel giudizio civile di secondo grado, con la condanna a versare immeditamente il maxi risarcimento alla Cir della famiglia De Benedetti. Per i giudici se “il relatore (della sentenza, ndr) non fosse stato corrotto” la Mondadori sarebbe andata a De Benedetti. La Cir, secondo i magistrati, subì un danno immediato e diretto dalla sentenza con cui i giudici della Corte d’Appello di Roma presieduto da Vittorio Metta – la cui corruzione è stata accertata in sede penale – stabilirono che il Lodo Mondadori era nullo, consegnando di fatto la più grande casa editrice italiana nelle mani del Cavaliere, presidente del consiglio di amministrazione di Fininvest fino al gennaio del 1994 e “dominus” dell’atto corruttivo.
Spetterà ora alla III sezione civile della Suprema Corte l’ultima parola. Verrà discusso il ricorso, depositato nel novembre 2011 dal pool dei legali di Fininvest, tra cui Romano Vaccarella e Giuseppe Lombardi, contro il verdetto del 9 luglio del 2011. Rispetto al primo grado arrivò uno ‘sconto’ perché il giudice civile Raimondo Mesiano aveva fissato, nell’ottobre 2009, in quasi 750 milioni di euro la cifra dei danni patrimoniali “da perdita di chance”.
Anche in secondo grado, comunque, erano state, in sostanza, accolte le tesi dei legali della holding della famiglia De Benedetti, gli avvocati Vincenzo Roppo ed Elisabetta Rubini. La causa civile era stata intentata dalla Cir alla luce della sentenza penale sul Lodo Mondadori, arrivata nel 2007, con la condanna definitiva per corruzione in atti giudiziari del giudice Vittorio Metta, dell’avvocato Cesare Previti e degli altri due legali Giovanni Acampora e Attilio Pacifico.
Domani, dunque, l’ultimo atto. Tra i 15 motivi con i quali Fininvest cerca di ‘smontare’ la sentenza di secondo grado, il primo sottolinea che la Corte d’Appello di Milano “non aveva il potere di rifare il giudizio” di secondo grado che all’epoca diede ragione alla famiglia Berlusconi, poiché tale compito spetta semmai alla Corte d’Appello di Roma e, per giunta, solo dopo la richiesta revocazione – è un punto su cui si insite – che Cir avrebbe dovuto presentare 30 giorni dopo il passaggio in giudicato della condanna dell’ex giudice Metta. Nel quarto motivo, invece, si rileva come sia stato negato il carattere tombale” dell’accordo dell’aprile del ’91 che portò alla spartizione della casa editrice. Altri motivi riguardano, tra l’altro, come i giudici d’Appello abbiano respinto la cosiddetta “eccezione di giudicato”, “l’inesistenza del danno ingiusto” e del “nesso causale tra la sentenza romana e il danno Cir”. Infine, tra l’altro, si respinge la “l’imputabilità di Fininvest, sia diretta che indiretta, della corruzione” e si contesta “il calcolo dell’abnorme danno liquidato”.
La decisione non dovrebbe arrivare immediatamente, ma nel giro di qualche mese. Intanto, gli oltre 560 milioni di euro sono stati già versati nel 2011 dalla Fininvest guidata da Marina Berlusconi alla Cir, che li ha congelati in attesa, appunto, del verdetto di terzo grado.