Il giorno atteso per decenni è arrivato. Con due sentenze storiche, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha fatto saltare gli ultimi paletti che ancora ostacolavano la piena parità dei diritti per milioni di gay e lesbiche americani. Il “Defence of Marriage Act”, la legge che nega i benefici federali alle coppie dello stesso sesso, è stato dichiarato anticostituzionale perché contrario alla clausola dell’eguale protezione di fronte alla legge. D’ora in poi, le coppie dello stesso sesso legalmente sposate avranno diritto allo stesso trattamento di fronte alla legge federale – per esempio in termini di pensione, sanità, imposte. Vittoria per i diritti omosessuali anche sulla “Proposition 8”, il referendum che nel 2008 mise al bando i matrimoni gay in California. Tra pochi giorni, nel più popoloso Stato d’America, gay e lesbiche potranno tornare a sposarsi.
“L’amore è amore“, ha commentato a caldo su Twitter il presidente Barack Obama, che ha voluto così festeggiare la sentenza della Corte Suprema sulle nozze gay. “La sentenza di oggi sul Doma è un passo storico verso la parità nei matrimoni”, si legge nel messaggio del capo della Casa Bianca, che usa l’hashtag degli attivisti per le nozze gay e poi ne aggiunge uno nuovo: #love is love. Di tutt’altro parere invece i vescovi Usa: “Un ‘giorno tragico per la Nazione e per il matrimonio perchè la Corte Suprema ha sbagliato”, ha scritto in un comunicato l’arcivescovo di New York, Timothy Dolan.
Non appena la notizia delle sentenze ha cominciato a diffondersi, migliaia di persone, in tutto il Paese, hanno festeggiato e brindato. Centinaia di attivisti e semplici cittadini si sono ritrovati per le strade di Los Angeles e di San Francisco, per celebrare una decisione attesa da anni. Brindisi e lacrime, bandiere arcobaleno anche davanti alla Corte Suprema, a Washington, dove la fila per entrare nell’aula del tribunale ed ascoltare la sentenza si era formata già da ieri sera. In centinaia hanno dormito sul marciapiede, resistendo all’abbattersi di un temporale. Poi, all’alba, gli impiegati della Corte hanno cominciato a distribuire i biglietti, mentre la gente ancora beveva il caffè dai thermos e si lavava i denti per strada. Solo un gruppo ristretto è riuscito a entrare. Gli altri sono rimasti ad attendere la sentenza fuori, sui gradini dell’edificio, innalzando cartelli e urlando slogan. Alla lettura delle sentenze è scoppiato un boato di gioia. Un ragazzo del Wisconsin ha spiegato di essere arrivato aWashington per sperimentare “la storia, proprio come quando venne messa fine alla discriminazione per gli afro-americani”.
Le decisioni della Corte sono in effetti tali da cambiare il corso della storia dei diritti gay negli Stati Uniti, e in questo senso richiamano il pacchetto di sentenze con cui tra gli anni Cinquanta e Sessanta si mise fine alla discriminazione legale contro i neri. Le sentenze mostrano anche gli enormi passi avanti compiuti dal Paese nel corso degli ultimi anni. La prima sentenza, quella sul “Defence of Marriage Act”, riguarda la vicenda di due donne residenti a New York, Edith Windsor e Thea Clara Spyer, unitesi in matrimonio in Canada nel 2007. Nel 2009 la Spyer morì, lasciando come propria erede la moglie e compagna. La Windsor si trovò a dover pagare 360 mila dollari in tasse di successione perché la legge federale non la riconosceva come legittima consorte e la costringeva a sborsare una somma enormemente superiore rispetto a quella dovuta da un coniuge eterosessuale. Una Corte d’Appello di New York ha dato ragione alla Windsor, spingendo un gruppo di repubblicani della Camera a portare il caso sino alla Corte Suprema per il giudizio finale.
A parte la battaglia legale, il “Defence of Marriage Act” è diventato in questi anni sempre più un relitto del passato, superato nei fatti ma operante comunque nella vita delle persone. Bill Clinton, che lo fece approvare nel 1996, l’ha alla fine ricusato, e anche l’amministrazione Obama l’ha definito anticostituzionale, senza però intervenire per cancellarlo. A difendere il DOMA sono dunque rimasti molti gruppi religiosi e un manipolo di repubblicani, riuniti soprattutto alla Camera, pochissimo disposti a far sì che i benefici del governo federale possano spalmarsi anche sulle vite delle coppie gay e lesbiche. La maggioranza dei giudici della Corte, cinque (i quattro liberal più il “centrista” Anthony Kennedy) contro quattro, ha deciso però che, negando ai gay sposati pensione e sanità, il governo federale “li tratta in modo meno rispettoso rispetto agli eterosessuali”. Dall’anno prossimo, i coniugi gay potranno compilare la stessa dichiarazione dei redditi e accedere a pensioni e sanità del consorte.
Altra vittoria importante nel caso relativo alla “Proposition 8”, il referendum che nel 2008 mise al bando i matrimoni omosessuali e che fu poi dichiarato anticostituzionale da un tribunale federale di San Francisco. La Corte Suprema ha deciso che i sostenitori del bando ai matrimoni gay non hanno il diritto legale di presentarsi davanti alla Corte, e che quindi fa fede la sentenza del giudice di San Francisco. In altri termini. Tra pochi giorni gli uffici comunali di ogni città californiana torneranno a riempirsi di omosessuali e delle loro richieste di unirsi in matrimonio. La cosa è particolarmente rilevante, considerata l’importanza economica della California e la sua capacità di influenzare i costumi e di fare da apripista a futuri sviluppi sociali americani. Altro dato importante, che dimostra il carattere ormai bipartisan del tema gay, è il fatto che la causa dei matrimoni omosessuali in California è stata difesa davanti alla Corte da due avvocati, Theodore B. Olson e David Boies, un repubblicano e un democratico, su fronti opposti nel 2000 durante la contesa legale che consegnò a George W. Bush la vittoria alle presidenziali e oggi uniti nella battaglia per i diritti gay.
Le sentenze della Corte sono state subito definite delle vere e proprie “pietre miliari” da parte di tutta la stampa americana. Difficile che a questo punto si possa tornare indietro,e che i gruppi più conservatori riescano a bloccare ciò che appare come la conclusione di decenni di lotte, progressi, arretramenti e speranze. Un sondaggio del “Pew Research Center“, reso pubblico a fine maggio, mostra che tre americani su quattro ritengono che i matrimoni omosessuali siano ormai inevitabili. Il trend, negli ultimi mesi, si è fatto ancora più rapido. Nello scorso marzo, quando la Corte Suprema cominciò a considerare il tema, erano nove gli Stati americani, più il District of Columbia, a riconoscere le unioni gay. Da allora, altri tre Stati si sono aggiunti alla lista. Se la Corte Suprema non dà oggi esplicitamente il via ai matrimoni gay e alla definitiva parità dei diritti, definisce comunque il quadro legale entro cui questi potranno svilupparsi nei prossimi anni. Proprio come durante le battaglie per i diritti civili degli anni Cinquanta.