L’esperienza di un anno di blog su ilfattoquotidiano.it è stata piena di spunti e di sviluppi positivi: ho potuto conoscere giovani colleghe con grande voglia di fare e di ascoltare, e il primo, fortunato, post con le sei domande sulla sessualità ha portato al libro Uomini che (odiano) amano le donne, con il quale da febbraio di quest’anno ho girato per l’Italia incontrando donne e uomini che lottano per il cambiamento delle relazioni tra i sessi pur nell’assenza cronica di mezzi e supporto in questo devastato paese.
C’è anche un lato oscuro: ben prima del violento attacco a Laura Boldrini ho sperimentato, attraverso alcuni commenti postati sui miei articoli, il fenomeno inquietante dell’insulto e del sessismo che imperversa sulla rete.
Qui però vorrei soffermarmi su un commento, arrivato sul blog a proposito dell’ultimo articolo, che partiva dalla notizia francese del progetto congiunto di due ministeri contro il sessismo nelle scuole elementari, per l’eliminazione dei giocattoli solo per bambine o solo per bambini. Il succo è ben chiarito dall’affermazione della ministra delle pari opportunità che così afferma: ‘Il mio scopo è lottare contro le disuguaglianze profonde che resistono nella società francese, e per fare questo bisogna agire sin dai primi anni di vita. Dobbiamo evitare che i bambini interiorizzino la disuguaglianza come un fatto evidente. Non è così’.
Scorrendo i commenti trovo questo, che trascrivo esattamente come è on line: “buongiorno, sono una giovane donna di 28 anni, laureata in economia. Figlia di una madre nata nel 1950 e cresciuta all’apice della sua giovinezza in quelli che furono gli anni del femminISMO. Questo ORA, per noi donne della MIA generazione, è diventato un memento ma, al contempo, un legaccio che non ci ha fatto andare oltre. Le donne del mio tempo sono insoddisfatte e sole..terribilmente sole a causa di uomini impauriti, incapaci o, meglio, castrati dal nostro retaggio di rivalsa e, spesso, vendetta. Il motivo? perché abbiamo dimenticato la pace che dà il rispondere al nostro genere, ossia l’accoglienza. Gli orrori mitologici che rimarranno nel retaggio di MIA figlia, come la Minetti, la Palombelli, Santanchè sono la dimostrazione di cosa porta assomigliarsi nei “comportamenti” di genere. Donne che hanno perso il contatto con quella impronta atavica che ci fa essere distinte ed esseri da scoprire dall’inizio della storia dell’uomo. E noi mogli e madri del domani a raccogliere i cocci dei vostri continui e sempiterni “NO”. Signora Lanfranco, da donna a donna, mi dia il buon esempio per essere una madre in grado di insegnare a mia figlia l’amore. Lei faccia la nonna, ché si vede che è stanca”.
Lo ritengo un post significativo: fin qui ad ‘andare a fare la nonna’ come insulto per togliere di mezzo una voce scomoda ci avevano mandato Lidia Menapace (89 anni), quando era parlamentare, e il mesto invito era venuto dai fascisti, dentro e fuori le aule del Senato.
Ancora: torna di nuovo il mantra ricorrente nella mia esperienza in incontri e dibattiti che accusa il femminismo e le femministe di aver contribuito, attraverso l’azione delle madri ‘emancipate’ a creare donne autorevoli (la donne che scrive è una laureata in economia) ma condannate alla solitudine.
In Letteralmente femminista (2009), racconto di quando, poco più che trentenne, nella presentazione di Verona di Parole per giovani donne (1994) una ragazza intorno ai 20 anni aveva detto di sentirsi sola, in quanto femminista. Di recente un’altra giovane che mi ha avvicinata ad una presentazione di Uomini che odiano amano le donne mi ha nuovamente riproposto questo tema.
Dato che al solito il commento non era firmato con nome e cognome sono comunque riuscita a rintracciare la donna che ha scritto, e le ho risposto così:
“Cara Marla, a me sembra che ad essere stanca sia proprio lei, se a 28 anni con questo bel curriculum e prospettiva di anni e di vita è così triste e si sente legata, sola e circondata da uomini altrettanto tristi. Nella sua breve e pur ricca esistenza lei ha goduto delle lotte delle donne della mia generazione, e soprattutto di quella ancora prima della mia, che in tante ha fatto sì che oggi lei si sia potuta istruire senza che nessuno le indicasse di dover fare la moglie, la madre o la nonna.
I no aiutano a crescere, a salvarsi la vita, ad allontanare gli idioti e le idiote, e a costruire i tanti sì che mi auguro per lei possa e sappia dire. L’accoglienza è un valore senza genere, che per fortuna anche in molti uomini stanno scoprendo. Si legga, quando avrà tempo, Letteralmente femminista e Uomini che (odiano) amano le donne, può essere che le diano qualche elemento per essere meno sola e triste. Stia bene”.
Vi propongo una riflessione collettiva a partire da questo fatto che è sì capitato a me singolarmente durante il mio lavoro di giornalista, ma che reputo vada al di là: lo scritto della commentatrice ci chiama tutte come attiviste femministe, ci interroga sul delicato compito di trasmettere i valori e il senso di una storia politica e di pratiche che hanno cambiato la vita delle donne e degli uomini; valori, senso, parole e pratiche che rischiano però di essere travisate nel tritatutto che vent’anni di omologazione e sottovalutazione hanno prodotto. Ne parleremo di certo anche a settembre al seminario di Altradimora, ma intanto sentivo l’urgenza di condividere con voi quanto mi è accaduto.