Ad avvisarlo non c’era la tv, non c’era Twitter, non c’era Facebook. Si era preso un ufficio davanti alla centrale di Polizia, una radio collegata con le frequenze degli investigatori e appena vedeva movimenti e pattuglie in partenza infilava i rullini in tasca e via. La sua maestria nel ritrarre i volti spaventati degli uccisi dai cadaveri ancora caldi ne fece il pioniere dei fotografi di nera. La sensibilità nell’imprimere sulla pellicola in bianco e nero l’umanità sopravvissuta alle tragedie dei bassifondi della città portò per anni le sue stampe sulle pagine dei quotidiani americani. Weegee, al secolo Arthur Fellig, foto-reporter nella violenta New York degli anni Venti e Trenta, era sempre sul luogo del delitto. Il più veloce di tutti. La polizia quando arrivava lo trovava già lì, mozzicone di sigaretta in bocca, a trovare l’inquadratura giusta per ritrarre una scia di sangue, una pistola in terra. Poi lo vedeva entrare nella sua auto dove sviluppava sul posto, nella camera oscura che aveva allestito all’interno dell’abitacolo. Gli omicidi erano la sua passione: “Sono più facili da fotografare perché i soggetti non si muovono né si agitano”, sosteneva.
Fino al 14 luglio Palazzo Magnani a Reggio Emilia ricorda il fotografo dei tabloid anni Trenta con una mostra, intitolata “Murder is my business”, che presenta oltre 100 pezzi originali tratti per lo più dall’archivio di Weegee presso l’International Center of Photography. I visitatori potranno vedere anche quotidiani, riviste e film dell’epoca, libri e persino una ricostruzione del suo ufficio. Weegee, nato in Austria nel 1899 da una famiglia ebraica che scappa dall’Europa per o primi vagiti di antisemitismo, raggiunge la sua fama nella New York della Grande depressione. Fotografa migliaia di omicidi (“Ne ho fatti 5 mila”, diceva orgoglioso) in una città in cui la repressione violenta dello Stato scatenò per contrasto le guerre tra clan rivali.
Arthur lavorava fianco a fianco con gli agenti, tanto che per un periodo il suo ufficio fu proprio dentro la centrale di polizia. Weegee tuttavia conosceva anche l’altra faccia, quella dei gangster. In contatto persino con Lucky Luciano, arrivò a definirsi ironicamente il fotografo personale della Murder Inc. Pian piano la sua fama di reporter cominciò a espandersi e le sue stampe furono esposte persino al Moma, il Museum of modern arts di New York. Weegee entrò poi a far parte della Photo League, l’associazione che promuoveva la fotografia politicamente impegnata. Attento alle classi popolari e alle disgrazie che colpivano soprattutto gli ultimi, come gli incendi e le calamità naturali, le sue didascalie trasudavano di umanità: “L’immagine di quegli schifosi caseggiati trappola mi perseguiterà per il resto della mia vita!” scrisse nella didascalia di una foto in cui erano ritratte due donne piangenti dopo l’incendio del palazzo dove abitavano. Vendendo le sue fotografie a una serie di giornali di New York negli anni ’30, e in seguito lavorando come collaboratore freelance per il quotidiano PM, che ebbe vita breve (1940-48), Weegee stabilì un approccio soggettivo sia alle fotografie sia ai testi con cui le accompagnava, molto diverso da quello adottato dalla maggior parte dei quotidiani e delle riviste illustrate dell’epoca.
La sua opera autobiografica, Naked City, pubblicata nel 1946, ispirò uno sceneggiato televisivo e, prima ancora, una pellicola cinematografica nel 1948. Non fu però questo l’unico contatto con il mondo del cinema. Fu il giovane Stanley Kubrick in persona a volere il fotografo ebreo tra i suoi collaboratori sul set del film Il dottor Stranamore, mentre nelle precedenti pellicole Il bacio dell’assassino e Rapina a mano armata il regista si era già ispirato al foto-reporter newyorkese nella riproduzione del clima delle metropoli americane.
Gli orari della mostra, aperta tutti i giorni eccetto il lunedì, si possono trovare su www.palazzomagnani.it.