“Né Dio, né padroni, né marito”. Si può esemplificare con le parole di una delle protagoniste del libro, l’argentina Virginia Bolten, il saggio “Anarchiche. Donne ribelli del Novecento“, scritto dallo storico milanese Lorenzo Pezzica (ShaKe edizioni).
Meglio mettere da parte Bakunin, Sacco e Vanzetti, perché qui siamo di fronte, esclusivamente, a 15 ritratti di donne che, tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, hanno dedicato la loro vita e le loro migliori energie agli ideali di giustizia sociale e libertà, infischiandosene di regole e ordine precostituito tra arresti, violenze e internamenti subiti.
“Anche tra gli anarchici c’è stato un maschilismo esasperato – spiega l’autore del libro a ilfattoquotidiano.it – e quando la storiografia del passato ha prestato attenzione a queste donne, ne ha parlato limitandosi a descriverle nel ruolo comprimario di figlia, moglie o compagna, seguendo un’iconografia stereotipata”.
Colte, anche se molte provenivano dalla classe operaia, poetesse e scrittrici, ma anche attiviste in prima linea: Mollie Steimer, Lucy Parsons e Dora Marsden, tra le altre, hanno portato avanti la battaglia dell’emancipazione come ribellione al sistema basandosi prima di tutto sull’impossibilità di sottostare al ruolo e ai legami sentimentali tradizionali.
“Lucia Sanchez Saornil, ad esempio, fondatrice in Spagna del movimento ‘Mujeres libres negli anni ’20’ – racconta Pezzica – ha sempre sostenuto con non ci sarebbe stata una vera rivoluzione sociale senza una reale emancipazione femminile. Lucia ha perduto la guerra contro il regime franchista, ha subito l’esilio, ma non hai mai smesso di dichiararsi lesbica”.
Nel 1922 la francese Mary Picqueray viaggia fino a Mosca per il congresso dell’Internazionale sindacale, rifiuta di dare la mano all’antianarchico Trockij, poi fissa un colloquio e ottiene da lui la liberazione di due anarchiche condannate alla deportazione. Oppure c’è la storia della morte violenta di Noe Ito, un’anarchica nel Giappone tradizionalista, che crea scandalo tra l’opinione pubblica e finisce con la condanna del capitano della polizia che l’ha uccisa.
Senza dimenticare le italiane Luce Fabbri e Maria Luisa Berneri (“anticipatrici delle riflessioni sul totalitarismo fatte da Simone Weil e Hannah Arendt”) o vicende esemplari di solitarie militanti come Germaine Berton che nel 1923, travestita da uomo, uccide a sangue freddo il numero tre dell’Action francaise poi viene processata e salvata dalla galera, dopo essersi scontrata con lo stereotipo della donna sia da destra – grazie alle teorie “scientifiche” di Lombroso con la donna delinquente, la prostituta, la donna normale – sia da sinistra (“anima fragile, l’amore l’ha spinta a uccidere”).
“Ho scelto di raccontare questa “età dell’oro” dove le grandi battagli libertarie dell’anarchia e del femminismo si incrociano ma non si mescolano – chiosa Pezzica – Avrei molti altri nomi per un capitolo due. Mi dovrei però fermare a 30 anni fa: oggi di vere anarcofemministe libere e combattive come allora non ne riconosco più”.