Ha acquistato all’asta una villa un tempo di proprietà dei boss mafiosi. Prima gli sono arrivate le minacce di sedicenti “eredi”, quindi non ha più potuto usufruire dell’abitazione, perché finita in un vortice di sequestri disposti da alcuni ufficiali della Forestale poi finiti sotto inchiesta.
Da quando Gianluca Calì ha deciso di tornare a lavorare nella sua Sicilia i guai sono spuntati ad ogni angolo. Come funghi. Siamo ad Altavilla Milicia, zona costiera tra Bagheria, Casteldaccia e Palermo. È qui che Calì torna nel 2009 per aprire una succursale della sua concessionaria d’automobili milanese: la Calicar. Ma al pronti via, qualcosa comincia subito ad andare storto: a Calì arriva immediatamente una richiesta di pizzo dalla cosca mafiosa locale. “Richiesta che non mi sono mai sognato di assecondare, li ho denunciati” sottolinea lui da siciliano orgoglioso. Il 3 aprile del 2011 alcune automobili della sua concessionaria di Casteldaccia vanno a fuoco. La storia di Gianluca Calì, l’imprenditore antiracket, finisce sui giornali. “Mi è stato vicino soprattutto il centro Pio La Torre” dice lui. Intanto le indagini degli inquirenti portano in carcere 21 affiliati al clan di Bagheria: tra questi anche i suoi estorsori.
Storia finita? Neanche per idea. Perché nel frattempo Calì ha avviato le pratiche per acquistare all’asta una villa vicino Casteldaccia: due piani da 160 metri quadrati l’uno. “L’idea era quella di trasformarla in una struttura ricettiva, che potesse creare un minimo di ricchezza per la nostra terra, dare lavoro e incrementare l’indotto turistico della zona”, spiega. Quella villa però non è una casa qualsiasi: apparteneva allo storico padrino di Bagheria Michelangelo Aiello e al suo sodale Michele Greco, il Papa di Cosa Nostra. Non è mai stata confiscata perché era ipotecata ed è quindi passata nelle disponibilità di un istituto di credito che lo mette all’asta. “Poco prima di presentare la mia offerta, ricevo la visita di alcuni personaggi”, racconta Calì. Si presentano come “eredi dei precedenti proprietari” e chiedono all’imprenditore di “lasciar perdere quella casa”. “Risposi di ripetere le loro parole davanti ad un giudice, dopo di ché mi aggiudicai la casa”, spiega Calì.
E per un po’ sembra passare tutto liscio. La quiete però dura poco. Perché l’8 febbraio scorso la villa che fu dei boss viene sequestrata da due ispettori della Forestale. “Stato grezzo e in corso d’opera”, scrivono nel verbale di sequestro, come se la costruzione fosse stata costruita di sana pianta in maniera abusiva. Così non è, perché quella villa esiste dal 1965, e Calì sta solo attuando dei lavori di ristrutturazione. Fa opposizione al sequestro e il 4 marzo ritorna in possesso dell’immobile. I “solerti” ispettori della Forestale però non demordono. E il 15 marzo sequestrano di nuovo la villa con le stesse motivazioni. Solo un duplice intoppo burocratico? Un errore? Possibile. Il verbale di sequestro porta due firme: sono gli ispettori della Forestale di Bagheria Luigi Matranga e Giovanni Coffaro. Che a fine marzo finiscono coinvolti in un’inchiesta della procura di Palermo: alcuni dipendenti della Forestale di Bagheria ricattavano gli abitanti della zona minacciando il sequestro di immobili. In cambio chiedevano somme di denaro.
“Una vicenda – scrive il gip Angela Gerardi – in cui emerge lo scarso se non inesistente senso del dovere e indegno esercizio del potere che interessa alcuni componenti dell’ufficio del corpo forestale (tra questi viene citato proprio Giovanni Coffaro) e l’irresponsabile comportamento da parte di altri (come il comandante Luigi Matranga)”. In carcere finiscono in quattro. Coffaro, uno dei due che sequestra la villa di Calì, è tra gli indagati anche se il gip ha respinto l’arresto. Nelle carte dell’inchiesta si ipotizza invece che Matranga, l’altro estensore del verbale di sequestro, fosse a conoscenza del “lavoro sporco” portato avanti dai suoi sottoposti. “Matranga non ha mai presentato una denuncia né ha mai segnalato i comportamenti dei suoi subordinati” scrive sempre il gip. A Calì però non è mai arrivata una richiesta formale di “messa a posto” per dissequestrare la villa. “Finora ho speso migliaia di euro per far valere un mio diritto contro un verbale che non sta né in cielo né in terra. Eppure questi si accontentavano di 500 euro”.
Dalle maglie dell’inchiesta sui forestali però emerge anche altro: l’ombra della mafia di Bagheria. Un elemento in più se si pensa che i lavori di ristrutturazione della villa che fu di Greco sono affidati dall’imprenditore palermitano a suo fratello, l’ingegner Alessandro Calì. Che i tentacoli della piovra li ha visti da vicino qualche tempo fa, quando da presidente dell’ordine degli ingegneri ha radiato dall’albo Michele Aiello, il ricchissimo prestanome di Bernardo Provenzano. Aiello è un uomo potente e fortunato: condannato a 15 anni di carcere è riuscito a trascorrerne uno ai domiciliari, proprio nella sua Bagheria, perché affetto da favismo. Solo una coincidenza? Può darsi. Nel frattempo la villa che fu dei boss rimane sequestrata in attesa che la Cassazione si esprima nel settembre prossimo. “Io volevo soltanto provare a rilanciare la nostra terra. Ma per un imprenditore onesto, imbattersi non solo nella mafia, ma anche in infedeli servitori dello Stato non è un bel segnale”. E in Sicilia, isola che vive soprattutto di segnali, è ancora peggio.
@pipitone87