Quasi due milioni di bambini poveri. Il 17,6 per cento della popolazione più giovane. Un numero crescente di bambini e bambine arrivano a scuola senza aver consumato un pasto. Oltre 720 mila bambini vivono in condizioni di miseria – povertà assoluta la chiamano gli esperti – senza cibo, senza un’adeguata assistenza sanitaria. Migliaia non vanno a scuola e, se la frequentano, sono troppo affamati o distratti.
Non si tratta di un paese del cosiddetto “Terzo mondo”, è la condizione drammatica dei bambini italiani, fotografata dall’Istat. In un paese che ricorda di essere cattolico quando si tratta della 194 (come è avvenuto di recente in Parlamento), della legge 40 sulla fecondazione assistita o quando si discute di coppie omosessuali, le condizioni di degrado di milioni tra bambini e adolescenti italiani non sembra interessare granché il dibattito pubblico del Belpaese.
L’Unicef parla senza mezzi termini di “emergenza infanzia”. Il Report Card – il documento sul benessere dell’infanzia elaborato dall’Unicef – ha valutato di recente le condizioni di vita dei bambini nelle economie avanzate del mondo. Diversi gli indicatori: dalla salute alla sicurezza, dall’istruzione ai contesti abitativi e ambientali.
“L’Italia è arrivata 22° su 29 paesi” dichiara il Presidente Unicef Italia, Giacomo Guerrera. “Nello specifico, il nostro paese è al 23° posto nell’area relativa al benessere materiale dei bambini, al 17° in quella salute e sicurezza, al 25° nell’istruzione ed al 21° per le condizioni abitative ed ambientali”. Dati molto negativi che disegnano un paese tra i meno accoglienti per i bambini, creando un circolo vizioso di impotenza, esclusione sociale, stigmatizzazione che si alimenta a vicenda. Persino nell’inquinamento atmosferico, i bambini italiani (anche quelli con famiglie abbienti alle spalle) sono tra i più esposti, siamo al 26° posto.
Negli ultimi anni, d’altronde, il reddito delle famiglie degli adolescenti in stato di povertà assoluta è diminuito del 31 %. Dal 2007 ad oggi, il Fondo nazionale delle politiche sociali è passato da 1 miliardo di euro ai 45 milioni del 2013, come rileva un’importante mozione parlamentare di Chiara Scuvera che vede tra i firmatari anche Sandra Zampa, Ileana Argentin, Khalid Chaouki, Federica Mogherini e Michela Marzano. Echeggiando Keynes, trent’anni fa, l’economista britannico Dudley Seers sosteneva che tre fossero le domande da porsi per lo sviluppo di un paese: aumenta o diminuisce la povertà? La diseguaglianza? E la disoccupazione?
E livelli diversi di diseguaglianza ci sono anche all’interno di situazioni di “deprivazione”, diventate strutturali e di sistema. I bambini ancor più esposti a rischio malnutrizione, degrado, mancanza di cure mediche e di istruzione si concentrano al Sud, in una mappa in cui la povertà si distribuisce su base territoriale. Il 20, 7 per cento rispetto al 7, 2 per cento dei coetanei poveri del Centro Nord.
Le peggiori condizioni di privazione ricadono sui figli degli immigrati, sui bambini delle famiglie giovani – i salari più bassi sono percepiti proprio da chi si affaccia al mondo del lavoro – o i bambini con un solo genitore, spesso la madre, che, per il tasso di impiego delle donne molto più basso della media europea, non riesce a mantenere il bambino.
Nella relazione al Parlamento italiano, lo stesso Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Vincenzo Spadafora, sottolinea l’assenza di una volontà politica: “La classe dirigente del Paese continua a non comprendere il valore di tali investimenti che possono essere un antidoto per uscire dalla crisi e non compromettere la crescita futura”. Senza considerare che sono rimaste pressoché lettera morta sia la raccomandazione della Commissione europea “Investire sui bambini: rompere il circolo vizioso di svantaggio”, sia gli obiettivi della Strategia Europa 2010 e del Fondo di aiuti europei agli indigenti, che possiede risorse per alleviare le sofferenze dei più piccoli.
Inascoltati anche gli appelli di “Save the Children”. “Abbiamo paura per il futuro dei figli di questo paese” ha detto Valerio Neri, Direttore generale dell’organizzazione, “Guardando gli indicatori la prospettiva per i bambini italiani è estremamente negativa”. “La prima cosa da fare sarebbe quella di varare subito un piano nazionale di lotta alla povertà minorile”.
Perfino la capacità genitoriale è diventata una sorta di privilegio economico: sempre più bambini sono allontanati dalla famiglia per indigenza, sino alla perdita dello status giuridico di genitore, con la lesione del diritto del bambino alla propria famiglia.
Eppure ci sono le leggi che tutelano i minori, a partire dalla 285 del 1997 “Disposizioni per la promozione dei diritti e le opportunità dell’infanzia e dell’adolescenza” o dalla 29/2010, che ha equiparato i figli naturali a quelli legittimi, prevendendo, tra l’altro, “il diritto di crescere in famiglia di mantenere rapporti significativi con i parenti” .
I quasi due milioni di bambini italiani poveri rappresentano il fallimento tanto delle politiche macroeconomiche che di quella rete – pur così significativa nella storia del nostro paese – costituita dal sistema decentrato degli enti locali. “Il male più grande ed il peggiore dei delitti è la povertà” diceva George Bernard Shaw.
Può dirsi compiutamente civile un paese che considera la povertà un dato irreversibile, che non adotta alcuna misura di contrasto, come se avesse esaurito le sue possibilità? Può dirsi compiutamente civile un paese che con indifferenza “tollera” due milioni di bambini senza cibo, cure sanitarie e istruzione?”