C’è voluta un’anziana antropologa, Amalia Signorelli, stella dell’ultimo Ballarò, per spiegarci come lo sdoganamento del machismo e della compravendita del corpo costituisca uno dei risultati culturali più vistosi del berlusconismo.
Il ragionamento ha conseguenze molto logiche. Una volta legittimata l’idea che l’auto-imprenditorialità femminile ha un’arma in più, il meretricio, non serve un ministero per tutelare le donne. Se la possono cavare da sole, basta che siano “consapevoli di essere sedute sulla propria fortuna” e disponibili “a farne partecipi chi può concretarla”, secondo la memorabile citazione di Piero Ostellino. Semmai bisognerà sgomberare il campo dalle altre, quelle rimaste attaccate alla retorica dei diritti, quelle “ipocrite che si fanno scopare gratis dai parrucconi di sinistra sposati”, come ha detto Anselma Dell’Olio in piazza Farnese.
Enrico Letta ha preso atto. Il Pd ha preso atto. Le donne del Pd hanno preso atto. Tre anni fa cavalcavano le piazze di Se Non Ora Quando e raccoglievano firme per chiedere “il rispetto della dignità delle donne”, adesso sparpagliano le deleghe del ministero delle donne tra Cecilia Guerra e Michaela Biancofiore, sperando che di queste maledette Pari Opportunità nessuno ne parli mai più.
Ora, non è che l’ex-dicastero della Idem, della Carfagna e della Finocchiaro abbia mai fatto la differenza o prodotto risultati clamorosi. Ma la sua cancellazione a opera di un governo guidato dal Partito Democratico è un atto simbolico di innegabile valore. Fu Romano Prodi a istituirlo nel 1997, proprio come ministero-icona della vittoria delle sinistre e del loro primo governo. Da allora (con la breve parentesi del tecnico Monti) c’è sempre stato. Abolirlo non sembra “una infelice non-scelta”, come ha scritto ieri il Corriere della Sera ma tutto il contrario: una scelta, e molto precisa, dalla parte di quelli che le Pari Opportunità le hanno subìte o usate, senza mai condividerle.
Quelli che “Zapatero ha fatto un governo troppo rosa che noi non possiamo fare perché in Italia c’è una prevalenza di uomini”, quelli che “Alle donne dico: cercatevi un ragazzo ricco”, quelli che “Venghino, venghino a investire in Italia, che non ci sono più i comunisti, ma belle segretarie”. Altro che non-scelta. Nel racconto berlusconiano degli ultimi anni, le donne, un certo tipo di donne – le adulte, diciamo, il famoso “settore menopausa” – sono il nemico. “Quelle donne” non lo capiscono. Quelle donne “lo hanno condannato a morte”, come dice la Santanchè riferendosi ai tre magistrati del processo Ruby.
Hanno fatto cadere le sue Giunte per difetto di rappresentanza femminile. Hanno provocato tempeste all’epoca delle veline nelle liste delle Europee. Non apprezzano il suo fascino, come la Merkel, e protestano per innocenti battute sul lato B. Hanno un’idea tutta loro del sessismo, come il premier finlandese Tarja Halonen, e convocano gli ambasciatori per uno scherzoso corteggiamento. Sul terreno di “quelle donne”, non le Olgettine o le showgirl ma le altre, le donne normali stufe di essere considerate soprammobili, dal ’94 a oggi si è combattuto lo scontro più aspro tra Pdl e Pd. Quel campo di battaglia, insieme alla giustizia, è stato il luogo dove le differenze di stile e di cultura politica si sono rivelate assolute e inconciliabili. La scomparsa simbolica delle Pari Opportunità ci dice chi ha vinto la contesa e chi dovrà passare sotto le forche caudine della pacificazione a senso unico. Rassegnandosi a ridere alla prossima barzelletta sulla mela, o al prossimo “Ma lei quante volte viene, signorina?”
Il Fatto Quotidiano, 28 Giugno 2013