C’è biologico e biologico, e questo è un fatto pacifico. Che però il cibo biologico sia più nutriente, e dunque salutare, del cibo cosiddetto “convenzionale” è un fatto che ha suscitato dubbi e polemiche.
La questione, come alcuni ricorderanno è stata aperta qualche settimana fa (qui, qui e qui). Quasi è diventata personale, uno scontro fra competenti e incompetenti, fra scienza e cattivo giornalismo secondo alcuni, fra scienza e giornalismo secondo altri. Oppure, semplicemente, una prova di faziosità. Tutto ciò è nato dal mio rilevare che il Ministero Mipaaf ha finanziato studi che attestano il contrario di quanto dichiarato da esperti o dalle ultime rassegne sistematiche sul biologico. Proprio io che non di rado ho evidenziato gli aspetti critici dell’agricoltura biologica o dei meccanismi di controllo.
Ma, dal momento che la dieta, come scrive l’Organizzazione Mondiale della Sanità, può essere misura preventiva delle malattie cronico-degenerative, di chi mi dovrei fidare?
Dunque per dirimere la questione e approfondire quanto ho già scritto, invece di esaminare i sempre più numerosi studi peer review (anche recentissimi) che confermano i dati del Ministero, ho intervistato una scienziata che pochi giorni fa è stata nominata per decreto “membro della Commissione permanente addetta al biologico” dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali: cioè la dott.ssa Laura di Renzo, ricercatrice della sezione di Nutrizione Clinica e Nutrigenomica dell’Università di Roma Tor Vergata.
D.ssa di Renzo, lei che da anni si occupa di nutrizione e biologico, è d’accordo con chi dice che “nessuno scienziato non prezzolato potrebbe affermare che la qualità nutrizionale del biologico è migliore, e la ricerca scientifica continua a non trovare grandi differenze fra prodotti biologici e convenzionali”?
No.
Quindi o lei è prezzolata o non è una scienziata?
Io ho semplicemente condotto studi scientifici che attestano la superiorità nutrizionale del biologico sul convenzionale, qualità che si ripercuote sulla salute del consumatore, in termini di aumento della capacità antiossidante. Questi e altri studi simili sono stati commissionati dal Mipaaf. Poi di studi che approdano a risultati analoghi ce ne sono anche fuori dell’Italia…
Lei parla addirittura di salute del consumatore… ma ci sono due rassegne sistematiche, una inglese e una americana che paiono mostrare il contrario: ovvero che non ci sono prove che dimostrino differenze sostanziali fra biologico e convenzionale. Lei è dunque una fideista del biologico o fa comunicazione commerciale?
Le rassegne e le meta-analisi possono essere errate. E non raramente.
Certo che detto da una scienziata… Adesso non mi tirerà fuori anche lei il saggio di Ioannidis?
Le spiego… Nelle meta-analisi sono stabiliti a priori i parametri validi per una determinata serie di ricerche. Cioè il lavoro scientifico diventa solamente il campione di studio selezionato sulla base di parametri determinati a priori. In pratica potrei aver selezionato una serie di prodotti che, pur definiti biologici, hanno lo stesso valore nutrizionale del convenzionale: ad esempio il pomodoro in scatola sottoposto alle lavorazioni più usate oggi dalle ditte commerciali. Anche i risultati da me riscontrati attestano che non c’è differenza di vitamina C o antiossidanti fra il bio e il convenzionale. Ma questo perché il processo di lavorazione e trasformazione tecnologica comporta che la vitamina termolabile si degradi. Pertanto, se cerco nella passata biologica, e mi aspetto di trovarci più vitamina C del convenzionale ho fallito, perché questa è degradata. Ma comunque anche in questo caso il biologico sarebbe da preferire al convenzionale…
E perché mai?
Perché non ha xenobiotici, fattori di antropizzazione che sono ritenuti dannosi per la salute.
Intende i pesticidi?
Sì. Anche perché in un nostro studio di qualche anno fa abbiamo riscontrato che, nel convenzionale, in tantissime derrate alimentari, una sostanza attiva come il clorpirifos etile (che può avere effetti tossici) era presente in quantità di gran lunga superiore ai limiti di legge.
Ricordo di aver letto, in una interrogazione parlamentare di qualche mese fa, che la dogana americana aveva bloccato centinaia di container di olio extravergine di oliva, in quanto il controllo di alcuni campioni aveva rilevato valori di clorpirifos etile che in Europa sarebbero minimi ma che in Usa sono superiori a quelli ammessi dalla legge…
Non è l’unico caso.
E se qualcuno paragonasse i pesticidi al rame, per quanto usato in quantità di gran lunga inferiore? Nel biologico è ammesso il rame…
Paragonare il rame, a cui l’organismo può avere avuto un certo adattamento, con l’emergenza delle nuove molecole dei pesticidi mi sembra un po’ sofistico. L’organismo ha processi di detossificazione ben diversi se esposto a una sostanza come il solfato di rame oppure a un pesticida organofosforico come il clorpirifos etilene…
Ma secondo lei è giusto basare le decisioni di una società sulle meta-analisi?
No. In primis perché l’opinione pubblica è influenzata dai mass media, che riportano più dati negativi che positivi, visto che fanno più effetto. E comunque non trovo giusto basare le decisioni di una società sulle meta-analisi. Io farei dei focus, commissioni di esperti in Italia e in Europa. Occorre affidarsi agli esperti.