“Ora un Pride nazionale a Cagliari, se gli organizzatori saranno d’accordo, io non ho nulla in contrario. Noi sindaci partecipiamo e così tanti pride servono al movimento. Servono a far capire alle istituzioni che è finalmente giunto il tempo di fare qualcosa a livello nazionale”. Così dice a ilfattoquotidiano.it il sindaco di Cagliari Massimo Zedda, tenendo lo striscione iniziale della seconda edizione sarda della parata per l’orgoglio gay, lesbico, bisessuale e transgender. Diecimila persone, almeno, sfilano sulla spiaggia del Poetto, un pezzo di Caraibi nel mezzo del Mediterraneo, un lido urbano chiamato “la spiaggia dei centomila”. Così, mentre il corteo sfila, i bagnanti si assiepano ai bordi delle strade, la musica dai diversi carri è a tutto volume e gli attivisti dell’Arc e del Mos, le due principali associazioni gay della Sardegna, sono non solo orgogliosi ma anche felici. “In effetti è incredibile – dice Carlo Dejana, presidente dell’Arc, che sta per “arcobaleno” – solo dieci anni fa, quando iniziammo a fare attivismo, a Cagliari c’era il deserto, culturale e morale. Ora le cose si sono smosse, la Sardegna va avanti e possiamo dire veramente con soddisfazione che questo è il pride di tutti”.
Un pride, tuttavia, dal sapore indipendentista. “La Sardegna è diventata un laboratorio unico – dice al Fatto Massimo Mele, presidente del Mos di Sassari, il Movimento omosessuale sardo – e non è assolutamente una regione omofoba. Magari lo era, anche nell’immaginario, tempo fa, ma ora tutti, gay ed eterosessuali, sappiamo di essere tutti figli di questa terra. I problemi sono tanti, dalla disoccupazione alla crisi economica, alla mancanza di prospettive, ma non per questo si deve smettere di portare avanti il discorso dei diritti, che sono diritti di tutti”. Poi ci sono anche le donne di Bortigali, paese dell’entroterra, che hanno lanciato il Collettivu S’Ata Aresti, il collettivo della “gatta selvatica”, una comunità di donne che portano avanti progetti culturali e non solo. “Ora cerchiamo di farci finanziare per avviare un progetto per il rientro in Sardegna dei gay emigrati. Ma li vogliamo antisessisti, antirazzisti e antifascisti”, dice Lucia, che del Collettivu fa parte a pieno titolo. “Stiamo costruendo una biblioteca e facciamo vera vita di comunità, ma lo facciamo con discrezione, siamo pur sempre inserite in un paesino di campagna di 1.400 anime”.
Costo totale di 15mila euro, il pride non è stato finanziato dal Comune di Cagliari, “ma sono tutti soldi nostri”, dice l’attivista Carlo Cotza. “Spesso la polemica sterile pretende di imporre l’idea che i pride siano pagati con i soldi pubblici, ma non è così”. La conferma arriva anche dal sindaco Zedda, “le polemiche ci sono state, ma sono inutili, non spendiamo nulla e anzi c’è un grande ritorno di immagine per la città”. In consiglio comunale il dibattito è stato a tratti molto vivace, con esponenti dell’opposizione che hanno parlato persino di “immoralità” e di “colpo basso in un momento di crisi”. Gli attivisti e i simpatizzanti, comunque, sono andati avanti con la Queeresima, quaranta giorni di iniziative, non curandosi dei mugugni della Chiesa e delle lamentele della destra. Con un obiettivo in testa: dopo il Palermo Pride, la manifestazione nazionale, un’altra isola potrà presto ospitare l’evento italiano dei gay e delle lesbiche. Il sindaco è d’accordo, gli attivisti sono motivati e la città accoglie la proposta ballando dietro a dei carri che sparano Lady Gaga e le canzoni della tradizione sarda, non prima di aver fatto un bagno in mare, nell’unico gay pride, unico forse al mondo, sulle rive di acque caraibiche.