L’economia americana è in netta ripresa mentre quella Europea non accenna a migliorare. Adesso che le politiche di austerità teutoniche sono state archiviate i governi dovrebbero produrre programmi ‘espansionisti’ per la crescita, in altre parole è arrivato il momento di spendere soldi. Ma non basta aprire il portafoglio, bisogna sapere dove destinare i fondi per farli fruttare.

La formula americana, che tutti ormai definiscono vincente, poggiava su alcuni pilastri: sostenere l’economia stampando moneta, riformare il settore finanziario e rilanciare quello industriale. Un cocktail che ha portato alla caduta degli indici di disoccupazione oggi al 7 per cento, meno di un terzo di quelli del nostro paese. Peccato che non possiamo riprodurre a casa nostra questa strategia.

In primis non ci è concesso stampare moneta, solo la Banca centrale può farlo, ed in realtà lo ha fatto, ma i tre mila miliardi di euro immessi nel sistema dal lontano 2011 non hanno alleviato la disoccupazione, Obama ha infatti prolungato il periodo di concessione dei sussidi di disoccupazione, raddoppiandolo più di una volta. Gli aiuti monetari della Bce sono stati assorbiti da un sistema bancario troppo vasto, composto principalmente da banche-zombie, svuotate delle loro funzioni e con troppi debiti tossici. Va da solo che queste istituzioni non possono diventare la cinghia di trasmissione tra chi stampa denaro e chi lo fa fruttare nei settori produttivi.

Negli Stati Uniti, invece, la politica di sostegno del sistema finanziario ha dato degli ottimi frutti anche nel settore dell’economia reale. Gli aiuti concessi nel 2008 sono stati tutti ripagati entro il 2011 e le banche si sono ristrutturate ricominciando a svolgere la loro funzione primaria, quella di raccogliere il risparmio e indirizzarlo verso gli investimenti produttivi.

Il rinascimento dell’industria americana è invece legato al fenomeno del fracking, una tecnica che ha permesso l’estrazione di petrolio e gas naturale dalle formazioni rocciose a grosse profondità. Questo ha portato alla caduta dei prezzi del gas, che nel 2008 erano pari a 10 dollari e oggi sono scesi a 3 dollari l’unità. Ciò significa che oggi il costo del gas naturale in Asia ed in Europa è rispettivamente  quattro e due volte più alto che in America. Le importazioni di petrolio negli Stati Uniti sono ai minimi degli ultimi 16 anni, entro il 2020 Washington sorpasserà l’Arabia Saudita nella produzione di petrolio, tornando così ad essere il primo produttore al mondo, ed entro il 2030 gli americani non avranno più bisogno di importare petrolio.

I bassi costi energetici hanno dato impeto all’industria e attirato investimenti esteri perché hanno abbattuto i costi di produzione. Beneficiarie sono le industrie dell’acciaio, alluminio, plastica, chimica e di produzione di vetro.

Il fracking in Europa si è scontrato contro una fortissima opposizione da parte degli ambientalisti, l’errore però non è stato ascoltare la loro voce, ma non  investire in forme di energia rinnovabile capaci di produrre una caduta dei costi energetici simile a quella americana. Senza questo ‘risparmio’  la nostra industria è destinata a patire la concorrenza di quella americana e a non tornare ad essere competitiva.

La ripresa del settore bancario e i bassi costi energetici hanno rimesso in moto i settori industriali tradizionali, i quali hanno attinto a un mercato del lavoro più flessibile del nostro. Ma non per motivi di costo del lavoro, piuttosto per ragioni di mobilità. Dal 2008 la manodopera non specializzata ha lasciato gli Stati Uniti e oggi sta tornando incoraggiata anche dal livellamento dei salari tra la Cina e alcune zone del Nord America, ad esempio il Messico. All’interno degli Stati Uniti la mobilità del lavoro è infinitamente più alta che dentro Eurolandia o all’interno dell’Unione Europea, primo motivo di questa divergenza è la lingua, negli Stati Uniti tutti parlano la stessa.

Agire sul costo del lavoro o buttare a pioggia miliardi di euro nell’economia senza riformare la struttura industriale dell’economia è una perdita di tempo e di denaro. Per competere nell’economia globalizzata bisogna agire su tutti i mezzi di produzione: capitale e salario. Purtroppo la classe politica italiana, abituata a un’economia di aiuti europei, ha dimenticato questa regola fondamentale e questo è il motivo principale per cui la riforma del lavoro per i giovani lanciata dal governo non funzionerà.

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