Come da tempo vado sostenendo, è in atto una vera e propria strategia dei governi e della classe dominante italiana per disincentivare ogni interesse allo studio e alla cultura da parte dei giovani.
Tappe di questa strategia sono state, fra le altre, la riforma universitaria del tre più due, la nomina a ministro di un personaggio assolutamente improbabile come la Terminator Gelmini, il costante assottigliamento dei fondi, l’attacco all’autonomia scolastica e universitaria, la promozione di un modello culturale di riferimento basato sulla ridicolizzazione del pensiero, specie se critico. E si tratta di una strategia che sta raggiungendo il suo scopo, se è vero che, fra l’altro, l’Italia, grazie a questi governi, è divenuta il fanalino di coda dell’Unione europea con il 21% dei laureati a fronte di una media del 35%. Per non parlare delle disastrose e preoccupanti percentuali di abbandono scolastico crescente. Nonostante, è il caso di dirlo, l’eroico impegno degli insegnanti, recentemente riconosciuto perfino dall’Ocse.
La realizzazione di questa finalità distruttrice è legata a tre ordini di motivi ben presenti nella “coscienza” dei nostri governanti:
1. Il fatto che, nella divisione internazionale del lavoro il nostro Paese sia destinato ad occupare segmenti sempre meno qualificati, nell’ossequio alle esigenze dei vecchi padroni americani e dei nuovi padroni tedeschi. Il che spiega l’assenza di ogni politica industriale degna di questo nome e lo smantellamento progressivo di ogni polo d’eccellenza.
2. L’assoluta mancanza di ogni idea volta a promuovere lo sviluppo ambientalmente sostenibile e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano, obiettivi che richiederebbero ben altro sforzo sul piano della formazione e della ricerca.
3. Il rispetto dell’antico detto “Popolo ignorante, popolo bue”. Meglio una gioventù di tossicodipendenti, ludodipendenti e seguaci del Grande fratello e schifezze analoghe che di persone consapevoli dei loro diritti, critiche e combattive.
Nuova conferma della strenua volontà di perseguire questa strategia di soppressione di ogni interesse dei giovani nei confronti del sapere, il recente provvedimento del governo Letta che prevede fra le condizioni per accedere a determinati benefici l’assenza del diploma (per non parlare della laurea). Il fatto che questa costituisca solo una delle tre condizioni alternativamente richieste per accedere a tali benefici non attenua la portata della scelta negativa effettuata. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro. Perché spendere tempo e soldi per istruirsi se poi non solo il diploma non serve a trovare lavoro ma si traduce anzi in elemento di penalizzazione? Anziché combattere l’abbandono scolastico se ne prende atto e lo si legittima. In questo il pragmatismo senza principi del Letta minore si sposa alla perfezione con la mentalità classista di Berlusconi il quale ebbe a esternare tempo fa contro i figli degli operai che vogliono fare l’università.
Al di là della lettura superficiale del decreto effettuata da Beppe Grillo, su cui Letta si è buttato a pesce, resta l’innegabile sostanza del messaggio trasmesso. Tanto più se si tiene conto dell’entità ben misera degli stanziamenti effettuati. Una goccia nel mare. E, soprattutto, il fatto che, attraverso una serie di meccanismi, si consenta un ricorso ancora più ampio che in passato alla precarietà. Ma bisogna essere certi che non funzionerà, perché nell’attuale contesto non c’è nessuna volontà delle imprese di creare posti di lavoro, sia pure a termine.
Il rovesciamento delle politiche europee che destinano alle banche circa cento volte quanto previsto per i disoccupati costituisce una condizione ineludibile per dare una soluzione al problema. Occorre agire per il reddito di cittadinanza da finanziare mediante la soppressione delle spese inutili (F-35 e Val di Susa ad esempio) e il recupero dell’enorme evasione fiscale italiana che, secondo Ocse e Corte dei Conti, era pari nel’ottobre scorso a circa 180 miliardi di euro, più o meno trenta volte quanto l’Unione europea ha stanziato per i giovani di tutti i Paesi che ne fanno parte. Ci sono quindi le risorse per finanziare un reddito di cittadinanza da agganciare a precise attività di formazione finalizzate al lavoro, all’educazione permanente e alla cittadinanza attiva.
E’ solo questione di volontà politica. Vogliamo un Paese di cittadini colti e informati o di servi stupidi e abbrutiti? Vogliamo uno sviluppo vero o una lenta devastazione di ogni tessuto economico e sociale? Il governo Letta ha detto la sua. Diciamo la nostra.